Maddox a Transart: «Dentro il mistero della multi-identità» 

Il rapper e compositore americano oggi a Prato allo Stelvio «La mia è performance art, e teatro che usa la musica nera»


di Daniela Mimmi


BOLZANO. Rapper, compositore, cantante, Napoleon Maddox, è la star del nuovo appuntamento di Transart, oggi 21 settembre al Capannone Mair Joseph di Vezzano, nel Comune di Prato allo Stelvio, alle ore 20.30. Il rapper americano, originario di Cincinnati, Ohio, porta in scena “Twice the First Time”, in cui mescola jazz e hip hop, performance e video. “Twice the first time” racconta la toccante storia in musica delle sue prozie, le gemelle siamesi Millie-Cristine McKoy. Nate in schiavitù nel 1851, hanno vissuto una vita pericolosa e avventurosa, di qua e di là dell’oceano. Maddox, affiancato dal giovane beat boxer e producer francese Sorg, riflette sul ruolo dell’artista afroamericano contemporaneo tra impegno, spettacolo e stereotipi. Il lavoro è il risultato di un progetto lungo due anni in cui Napoleon Maddox ha condotto workshop in America, Francia e Italia che ruotavano intorno a un’idea: siamo schiavi della nostra stessa identità. Napoleon Maddox, che a volte usa il suo secondo nome, NapoleonSolo, ha raggiunto il successo nel 1996 con la sua band Iswhat?. Ha collaborato con gente come Antibalas, Saul Williams, KRS ONE, The Herbaliser, Tumi & the Volume, Hocus Pocus, Authur H, The Roots, Brother Ali, James Blood Ulmer, con il poeta newyorkese Roy Nathanson, e molti altri. Con IsWhat?, Napoleon ha girato per gli Stati Uniti e l’Europa, arrivando anche in Italia nel 2007. Inoltre è stato il direttore artistico delle spettacolo A Riot Called Nina, omaggio a Nina Simone, e The Boxettes. Appare anche nell’album Par Temps de rage, del gruppo rap francese La Canaille. Dal 2013 collabora spesso con Sorg, con il quale ha inciso Wild West, 16 Diamonds e il recente Ribbons & Razors Chiediamo a Napoleon Maddox come è venuto a conoscere la storia decisamente particolare delle sue antenate. «L’ ho sempre sentita raccontare in casa, fin da quando ero piccolo. È una specie di tradizione orale familiare. Immagino che mia madre l’ abbia sentita da sua madre e lei dalla sua. E’ una storia straordinaria. Millie e Cristine sono nate siamesi, sono state vendute a un circo come fenomeno da baraccone, poi rapite e portate in Inghilterra. Quando sono riuscite a tornare negli Stati Uniti, hanno cominciato a cantare. Le chiamavano “l’usignolo con due teste”. Io ho unito i loro nomi, come loro non state unite tutta la vita»

Perchè ha deciso di trasformare questa storia in una performance?

«Ho cominciato a pensarci tre anni fa, e mi sono accorto che c’erano tanti temi importanti dentro a questa storia. Non è solo la celebrazione della mia famiglia e dei miei antenati. C’è ad esempio il tema della multi-identità. Millie e Cristine avevano due teste che pensavano, due cuori, ma un solo corpo».

Da lì nasce la metafora del suo spettacolo?

«Infatti. Noi siamo americani perchè siamo nati lì, ma siamo anche africani perchè veniamo dall’Africa. La metafora riguarda proprio la difficoltà di identificarci e anche quella di sopravvivere, soprattutto noi come neri e come musicisti o artisti. Come Millie-Cristine».

E’ stato difficile portare in scena questa storia?

«È stato facile e difficile insieme. La sfida più grande per me era restare fedele alla storia, una storia che mi riguarda da vicino. Dovevo credere nella storia e far credere il pubblico a quella storia. Dentro ci sono molte idee, spesso complicate, per qualcuno potrebbe essere disturbante. La sfida era essere fedele alla storia, e avere compassione, essere onesto ed essere sensibile».

Come possiamo definire questo spettacolo? Una performance poetica? Una metafora multimediale? Un concerto?

«È performance art e teatro che usa la musica nera, come il blues, il jazz con le sue improvvisazioni e l’hip hop».

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