STORIA E MEMORIA»DA OGGI LA MOSTRA ALLA GALLERIA CIVICA

Ci credeva Wilhelm Schrefler. A tal punto da italianizzare il suo cognome in Guglielmo Sandri. Lui, nato in Austria, vissuto a lungo a Merano da sudtirolese. E tanto da partire volontario per la...


di Paolo Campostrini


Ci credeva Wilhelm Schrefler. A tal punto da italianizzare il suo cognome in Guglielmo Sandri. Lui, nato in Austria, vissuto a lungo a Merano da sudtirolese. E tanto da partire volontario per la guerra di Spagna nel ’36, inquadrato nella divisione Littorio. Credeva nel fascismo e nella “missione” del partito e pure in quella sorta di crociata che era diventata la battaglia dell’ Italia in camicia nera contro il comunismo, il “nemico rosso”, rappresentato da quella parte di Spagna repubblicana che si opponeva alle truppe golpiste di Francisco Franco. Come pure ci credevano i tanti trentini che salirono sulle navi e sui treni diretti a Cadice, stretti nelle loro compagnie di valle, uniti dalla certezza che, al di là della lotta ideologica, c’ era di mezzo anche la fede, quella religione cattolica “messa in pericolo dagli anarchici e dai repubblicani senza Dio”. Perchè ci credevano? Cosa avevano scorto nelle pieghe di quel conflitto civile che avrebbe diviso la Spagna dal ’36 al ’39, insanguinato città e campagne, e costituito per le nuove potenze unite dal patto d’ acciaio, Italia e Germania, la prova generale della seconda guerra mondiale? Ci credevano perchè il loro era “uno sguardo fascista”. Quel modo di vedere le cose che segnò intere generazioni non solo italiane fino alla resa dei conti del 25 luglio e dell’ 8 settembre 1943. E, infatti, “Fu la Spagna! Lo sguardo fascista sulla guerra civile spagnola” si intitola la mostra che apre a Bolzano oggi, venerdì 17 novembre, (inaugurazione alle ore 18 , fino al 14 gennaio alla Galleria Civica, a cura di Andrea Di Michele del centro di storia regionale della Lub e di Daniela Aronica dell’ Università di Barcellona) e che raccoglie una vasta testimonianza di fotografie scattate in quella tempesta bellica. Ma di diversa provenienza. Ed è questo uno dei fili che caratterizzano la mostra. Che si divide infatti a seconda degli autori delle foto e dello scopo per cui furono effettuate. Ci sono quelle che sono state ritrovate negli archivi personali dei singoli combattenti: foto ricordo con i commilitoni, testimonianze di vita quotidiana tra la gente di Spagna. Altre mirate a fini propagandistici, perchè venissero poi pubblicate dai giornali italiani a supporto della politica interventista del regime. «Ma tra questi diversi filoni ci siamo trovati a individuare delle contraddizioni, dei contrasti, che poi sono il sale anche della ricerca», dice Andrea Di Michele, storico bolzanino. Ed ecco spuntare tra parate della vittoria e azioni di guerra, gli atteggiamenti non marziali di tanti legionari. «Perchè la campagna non fu solo una serie di battaglie ma anche una lunga stasi, fatta di trasferimenti, bivacchi, rapporti intensi con la gente civile - aggiunge Di Michele - ma anche frutto di un desiderio di testimoniare la propria efficienza militare, illustrando gli effetti devastanti delle nuove armi o dei bombardamenti sulle case». Molte foto furono scattate dall’ aviazione littoria, allora l’ arma preferita da Mussolini, dove militò anche suo figlio, e che molto investì in denaro e equipaggiamenti per inviare in aiuto del suo amico Franco i nuovi bombardieri Savoia Marchetti. Oltre che a inviare 80mila uomini in armi (con 6mila morti e 15mila feriti). Ma ci sono, sfuggiti alle censura, anche i volti della sconfitta. In quella battaglia di Guadalajara che mise per la prima volta di fronte italiani in camicia nera a italiani in camicia rossa, accorsi a loro volta in soccorso dei repubblicani inquadrati nella brigata Garibaldi. Una prima prova generale di quella che sarebbe poi stata la guerra civile italiana, quella di Liberazione tra partigiani e repubblichini. Sconfitta che, al contrario,non appare testimoniata nelle immagini “ufficiali”. Insomma, è proprio dentro queste ingenue e inconsapevoli contraddizioni tra privato e pubblico, tra quotidiano e ufficialità di regime che i ricercatori della mostra, che è stata esposta l’ anno scorso al Museo di storia della Catalogna a Barcellona, hanno scorto quello “sguardo fascista” che accomunò tante nuove generazioni italiane, intrise di nazionalismo e di ideologia ma anche di echi dannunziani, irredentisti e risorgimentali (tanto che i legionari trentini facevano riferimento nei nomi dei reparti a Cesare Battisti). Quello “sguardo” che poi tanti di loro pagarono con una guerra perduta e la catastrofe della nazione.













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