«Sul lupo in Alto Adige troppi cattivi consiglieri» 

L’esperto bavarese boccia la politica “caotica e fuorviante” di Bolzano


di Mauro Fattor


Nel pantheon venatorio di rito sudtirolese, fino a pochissimo tempo fa c’ era anche lui, il bavarese Ulrich Wotschikowsky. Appena due dita sotto Sant’ Uberto. Un amore durato una vita e archiviato in modo brusco in pochi mesi. Oggi il suo nome è diventato impronunciabile. Perchè? Perchè lui, il “Wotsch”, forestale di formazione, membro della Wildbiologische Gesellschaft di Monaco, tra i fondatori dell' Ökologischen Jagdverbands (ÖJV), grande esperto di ungulati è anche uno specialista di lupi. E non la pensa esattamente come l’ establishment sudtirolese. L’ abbiamo intervistato.

Come valuta la situazione del lupo in Alto Adige?

«In Alto Adige i lupi arrivano e arriveranno negli anni prossimi dalla Svizzera, dall’ Italia, e poi da nord e probabilmente anche da est. Certo si può sparare, ma con il fucile non si ferma l’ espansione di una specie come il lupo. L’ unica soluzione realistica e duratura, nel rispetto delle linee europee di conservazione della specie e nel rispetto del lavoro dei contadini e degli allevatori, è adottare le misure di prevenzione e trovare una forma di convivenza. Inseguendo utopie senza capo né coda come un “Sudtirolo libero da lupi” si perde solo tempo».

Cosa pensa della strategia altoatesina nell’ affrontare una situazione in rapida evoluzione?

«Penso che sia caotica e sbagliata, e che le linee guida di questa strategia siano dettate da cattivi consiglieri, o meglio da incompetenti, magari in buona fede. Bolzano continua a cercare sponde in Austria e in Baviera dove, al pari dei sudtirolesi, si trovano tutti alle prese con una situazione nuova, perchè anche lì la presenza del lupo è cosa recente, e dove regna un’ incertezza altrettanto grande in termini di strategie da adottare. Bisogna invece guardare alle esperienze positive e ormai sedimentate fatte in Svizzera e in Italia, sulle Alpi Occidentali e in Abruzzo, per esempio, dove il numero di animali al pascolo, tra il resto, è infinitamente più grande dei numeri in gioco in Alto Adige. Ciò detto, non esiste un ricetta che vada bene ovunque ma, sul piano della prevenzione, esiste sempre una soluzione ai problemi che via via si pongono. Bisogna applicarsi e sperimentare. L’ unica cosa certa è che vanno abbandonate le forme di pascolo brado e semi-brado. Dico anche che tutto questo ha dei costi importanti, soprattutto nella fase iniziale, e che questi costi devono essere a carico della collettività, non certo degli allevatori e degli agricoltori».

Quando parla di cattivi consiglieri e di incompetenti, a chi si riferisce?

«So di assessori regionali e di esponenti di spicco del mondo politico altoatesino pronti a infiammare le platee parlando di risolvere il problema “legalmente o illegalmente” o di sedicenti esperti che evocano le tre “s”: sparare, scavare, seppellire. Beh, se loro trovano inaccettabile la presenza del lupo, io trovo inaccettabile che chi ricopre un incarico pubblico applauda a frasi del genere o sia lui stesso a pronunciarle. Uccidere un lupo illegalmente è un reato, vorrei ricordarlo anche a quel sindaco che ha annunciato che eliminerà un branco intero appena si affaccerà nel territorio del suo Comune».

E poi?

«E poi trovo inaccettabile che chi ha responsabilità di governo promuova petizioni su un tema sensibile come il ritorno dei grandi predatori riversando sulle persone comuni, sulle persone di tutti gli strati sociali e i livelli di istruzione, responsabilità che sono invece sue».

Questo sul piano politico, e sul piano tecnico?

«Sul piano tecnico il rischio è quello dell'incompetenza, di cercare l’ interlocutore sbagliato. Faccio un esempio: Il Bauernbund ha organizzato da poco una sorta di incontro tecnico informativo sull’ Alpe di Villandro destinato agli agricoltori della zona per spiegare come funzionano i sistemi di protezione. Il problema è che i due relatori bavaresi chiamati come esperti, in realtà esperti non lo sono affatto. Sono due perfetti sconosciuti nell’ ambito di chi si occupa ad alto livello di queste problematiche. Al contrario, almeno uno dei due è noto per essersi dichiarato apertamente contrario all’ adozione delle misure di protezione. Ecco, trovo tutto questo molto illogico. Tra l’altro avevo chiesto di poter partecipare all’ expertise e l’ Obmann locale del Bauernbund mi ha risposto che non ero nella lista degli invitati».

Non è la prima volta che le sbattono la porta in faccia...

«No, in un modo o nell’ altro, è la terza volta».

Perchè in pochissimo tempo uno come lei, un tecnico stimato ed ascoltato e considerato molto vicino al mondo rurale sudtirolese, da ospite d’ onore è diventato un ospite sgradito?

«Non lo so. Io sono sempre lo stesso. Certo, sono favorevole alla presenza del lupo e sono convinto che una strada di coesistenza sia possibile e doverosa. Però sono sempre pronto a confrontarmi e a discutere con chi la pensa diversamente, mentre ho l’ impressione che il contrario non accada. Io sto dalla parte dei contadini e degli allevatori seguendo strade realistiche. Altri non so».

Il mondo venatorio in questa nuova situazione è su posizioni molto tradizionali e conservatrici, quasi imprigionato nel ruolo di braccio armato del mondo contadino.

«È vero, esiste una difficoltà culturale nel riposizionarsi e nel reinterpretare il proprio ruolo in un mondo che cambia e in un ecosistema che evolve. Conosco molto bene il mondo venatorio altoatesino e penso che, da molti punti di vista, sia il sistema venatorio migliore del mondo, con importanti valori legati anche, per esempio, all’ aspetto sociale della caccia. Quello che noto però negli ultimi anni è una sorta di attrazione fatale verso il mondo austriaco e tedesco molto più attento agli aspetti quantitativi di poche specie, parlo degli ungulati, che a quelli qualitativi di varietà e ricchezza degli ecosistemi, a cui la presenza del lupo andrebbe ascritta. Forse servirebbe solo un po’ di coraggio per smarcarsi. Ho tanti amici in Alto Adige e so che hanno le competenze, l’ esperienza e una visione delle cose affatto distanti dalla mia. Invece mi tocca leggere sullo Jägerzeitung del signor Terzer, consulente legale dell’ associazione cacciatori, che sostenendo la pericolosità del lupo invita a consultare gli archivi storici. Come se la situazione di oggi fosse confrontabile con quella sociale e ambientale di duecento o di cinquecento o di mille anni anni fa. Assurdo. Questa è davvero cattiva comunicazione».

Il lupo è pericoloso?

«In ambito alpino quello della pericolosità del lupo non è neppure un argomento».

Lei ha recentemente preso parte ad un corso di aggiornamento sui grandi predatori organizzato dal Museo di Scienze Naturali di Bolzano e destinato ai giornalisti. Che impressione ne ha tratto?

«Ho trovato persone molto attente e desiderose di avere buone fonti e buone informazioni. In questo campo invece le cosiddette fake-news sono all’ ordine del giorno».

Non ci sono solo le fake news. Ci sono anche false informazioni come quelle che il 30% dei lupi italiani sia fatto di ibridi, con dati che passano da un interlocutore all’ altro trasformandosi in verità in virtù della presunta autorevolezza della fonte primaria. In questo, per esempio, l’onorevole Dorfmann, ha fatto scuola.

«Ha ragione. Ci sono cattive informazioni, magari dette in buona fede, che possono fare grandi danni».

Ci sono lupi ibridi sulle Alpi?

«Sulle Alpi italiane non mi risulta che sia stato mai trovato un ibrido. L’ ibridazione comunque se mai è un problema per il lupo non per le persone».















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