Ungaretti, un poeta in guerra

Bolzano, la rassegna “Il sublime e l’orrore” torna oggi alla Civica con Silvio Ramat


di Giovanni Accardo


di Giovanni Accardo

«Nel 1919 Ungaretti pubblica da Vallecchi una raccolta di poesie che include quelle di guerra - già edite in 80 copie nel dicembre del ’16 in una tipografia udinese - ma anche ne recupera di più antiche e ne propone di nuove, alcune destinate a sistemarsi all’inizio di Sentimento del Tempo, che costituirà il secondo libro di Vita d’un uomo, il titolo sotto il quale organizza l’intero suo organismo poetico». Così il professor Silvio Ramat (docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea all'Università di Padova) introduce al prossimo appuntamento con la rassegna “Il sublime e l’orrore. A cento anni dalla Grande Guerra”, che si terrà questo pomeriggio alle 18 presso la Biblioteca Civica di Bolzano, quando parlerà delle poesie di guerra di Giuseppe Ungaretti. l’abbiamo intervistato.

Il volume che raccoglie la gran parte delle poesie dal fronte s’intitola L’allegria, ma in una prima versione s’intitolava Allegria di naufragi. Come si spiega tale titolo?

«La formula “allegria di naufragi” sembra un assurdo, ma il poeta stesso la spiegò come una vitalità estrema, biologica o fisiologica, una sorta di oggettiva “ilarità”, come quella che si manifesta anche nei movimenti disperati di chi sta naufragando».

Nella sua lezione lei userà come testo guida “I fiumi”, come mai? Cosa rappresenta questa poesia?

«I fiumi” è comprensibilmente fra le più famose poesie di Ungaretti, che la definiva la sua “carta di identità”. È il testo che meglio riesce ad esporre e a riassumere in uno spazio relativamente breve i dati che più contano della biografia dell’autore, della sua formazione e della sua vocazione poetica. In proposito è interessante rilevare quanto il testo sia mutato, nella redazione definitiva, rispetto a un primo abbozzo che dal fronte Ungaretti aveva inviato a Giovanni Papini».

Ungaretti, come la gran parte degli intellettuali italiani, fu convinto interventista. Che esperienza fu per lui la guerra? A guerra finita, rivedrà la sua posizione?

«La guerra di Ungaretti, combattuta nella zona del Carso e poi, fino all’armistizio, in Francia (nella regione della Champagne), non si distinguerebbe da quella di migliaia e migliaia di soldati se non avesse il riscontro di una straordinaria serie di liriche. Il suo interventismo non si cancellò nella dura esperienza di trincea, ma nei versi di Ungaretti non c’è una parola di odio contro il nemico, mentre si afferma di pagina in pagina il privilegio del trovarsi insieme, italiani con italiani, a condividere una medesima sorte. Assai più tardi, il poeta si pronunciò tuttavia contro ogni guerra, giudicando la guerra il più feroce strumento di risoluzione delle controversie».

Per la lezione che stamattina terrà agli studenti, nell‘aula magna del Liceo Pascoli, invece ha scelto di parlare di Piero Jahier e del suo libro “Con me e con gli alpini”. Ce lo può presentare brevemente?

«Il libro di Jahier, alto esempio di letteratura pedagogica, racconta non la guerra in atto ma la preparazione alla guerra. Si svolge per brevi capitoli nei quali il tenente Jahier, avverso al riconoscimento delle gerarchie, si mostra dubbioso - e a volte drammaticamente - su come potrà incarnare, lui ufficiale, agli occhi dei “suoi” alpini quel valore-“patria” per cui sono stati chiamati alle armi. Amicizia e solidarietà sono i valori sui quali il libro s’impernia, sul fondamento di una “guerra” che Jahier considera “giusta”, essendo una rivendicazione di un popolo povero contro i soprusi di una nazione che la prosperità ha reso prepotente».

L’immagine dei soldati in Jahier è molto diversa da quella di Ungaretti. La guerra è vista come un momento di crescita esistenziale per l’uomo, la condivisione delle difficoltà lo fa appartenere ad un gruppo, ad un popolo.

«L’obbligo della concisione impedisce a Ungaretti un discorso articolato e ragionato paragonabile a quello svolto in prosa, sia pur talvolta liricizzante, da Jahier. Inoltre Jahier fa emergere alcuni personaggi e caratteri; in Ungaretti prevale il riconoscimento dell’esser parte “anonima” di un vasto coro, “docile fibra dell’universo” come recita ne I fiumi. Se potessimo fermarci alla data del 1918, diremmo però che appartiene ad entrambi la convinzione che la guerra aiuta l’uomo a crescere, lo matura (ma Jahier non ci descrive il pietoso orrore di chi, sopravvissuto, ha vicino a sé i corpi dei soldati uccisi, abbandonati “tra melma e sangue”, quale ce lo mostrano invece altri, da Ungaretti a Rebora)».

Così come diversa è l’immagine della guerra in Ardengo Soffici e nel suo “Kobilek-Giornale di battaglia”, l’altro autore di cui parlerà agli studenti. Diverso lo stile e diversa l’esperienza narrata.

«Certo, lo stile di Soffici sembra quello di un instant-book, e il suo Kobilek è un diario appassionato e vivido, di lettura piacevole. Soffici le gerarchie le riconosce e rispetta; ciò non toglie che la sua felice penna di toscano (alla quale coopera il pennello dell’eccellente pittore ch’egli era) proceda in libertà e in scioltezza, arrivando talvolta a godersi la guerra come uno spettacolo eccitante e meraviglioso. Ma al pari del futuro antifascista Jahier, anche il futuro fascista (fascista convinto) Soffici si commuove nello scoprire giorno per giorno l’eroismo del fante italiano, espressione di quella virtù di “popolo” che il racconto del Kobilek esalta».

L’attività di critico di Silvio Ramat, avviatasi nel 1965 con una monografia su Montale, è proseguita studiando alcune delle principali correnti e figure della poesia del XX secolo (L'ermetismo, La Nuova Italia 1969), fino a tentarne una ricognizione sistematica (Storia della poesia italiana del Novecento, Mursia 1976), a partire dalle sue origini. Dalla ribadita fedeltà a Montale (L'acacia ferita e altri saggi su Montale, Marsilio 1986), la sua attenzione si è poi concentrata su una serie di microcosmi testuali (I sogni di Costantino, Mursia 1988; Particolari, Mursia 1992). Il risultato più cospicuo del suo lavoro degli anni recenti sono La poesia italiana 1903-1943. Quarantuno titoli esemplari (Marsilio 1997) e Il lungo amore del secolo breve-Saggi sulla poesia novecentesca (Cesati 2010).













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