A MAROSTICA CON IL SIOR PROSPERO CHE CI FECE “SCOPRIRE” IL CAFFÈ
A Marostica, nella centralissima e storica piazza Castello è difficile levare lo sguardo dalla celebre pavimentazione di quella che è nota essere la “Piazza degli scacchi”. Si tratta di uno spazio urbano elegante e raffinato, tra i più belli di tutto il mondo . Evoca - grazie anche alla notorietà assunta in tempi più recenti - giorni lontani dove dame, paggi e cavalieri erano gli attori protagonisti di una quotidianità relegata ormai ai libri di storia e alle rievocazioni per turisti.
Se, tuttavia, riusciamo ad alzare gli occhi da quella pavimentazione che ci rapisce per la sua bellezza e rivolgiamo lo sguardo verso l’alto per dare un’occhiata ai prospetti delle case che fanno da cornice alla piazza, si scopre tutta un’altra Marostica. Quella di tale Prospero Alpini. Il suo volto, ritratto in un bassorilievo su una modesta facciata verso il limitare della piazza, osserva silenzioso chi affolla quella che ospita la scacchiera.
Prospero Alpini non era né uno scrittore, né un celebre artista. Era un appassionato ed eminente botanico oltre che un intrepido viaggiatore. È l’uomo nei cui confronti, oggi, milioni di persone hanno un grande debito di riconoscimento per aver assicurato loro una piccola “gioia” quotidiana. Prospero da Marostica, come si legge sulla targa che lo commemora, è infatti colui che - ben 5 secoli fa - “introdusse nella Serenissima la conoscenza e l’uso del caffè”.
Marostica – nota anche per la produzione antica delle saporitissime ciliegie - è giustamente orgogliosa del suo concittadino nato lì il 23 novembre 1553. Erano quelli gli anni del Palladio e il giovane Prospero, figlio del medico del paese Francesco, fu indirizzato dal padre all’università di Padova affinché ne seguisse la carriera.
La vita di Prospero ebbe una svolta decisiva quando nel 1580 dovette accompagnare Giorgio Emo, patrizio dalla Serenissima, al Cairo dove era stato nominato console di Venezia. Emo volle portare con sé Prospero Alpini quale suo medico personale. In Egitto il curioso giovane medico di Marostica studiò le piante esotiche, mai viste prima, che lì crescevano. Soprattutto “scoprì” che nelle bettole lungo il Nilo veniva consumato un infuso di “acqua negra bollente” di nome “caova” (o kavhé). Era ricavato da bacche tostate: era il caffè.
La fama di “Prosper Alpinus marosticensis medicus et botanicus celeberrimus” crebbe rapidamente a livello europeo grazie ai suoi studi e alle sue pubblicazioni. Oltre a diventare a Genova il medico personale e di corte dell’ammiraglio Giovanni Andrea Doria, fu punto di riferimento per gli studi del grande botanico Linneo nonché docente universitario e quarto prefetto dell’Hortus di Padova.
Fu lui a certificare ufficialmente, contro il parere della Chiesa di Roma che a quei tempi bollava l’esotico e eccitante caffè come la “bevanda del diavolo”, che il decotto tanto usato dagli islamici (in particolare dai mistici sufi forti del fatto che lo stesso arcangelo Gabriele avrebbe offerto la bevanda nera al profeta Maometto malato) non faceva male. Anzi, oltre che a “tenere sveglia la gente”, aveva anche effetti benefici come coadiuvante della digestione. Le bacche per realizzare la bevanda dal “sapore simile alla cicoria” bollita furono infatti inizialmente vendute solamente in farmacia prima di diventare invece il pretesto di essere prerogativa di locali in cui si beveva solamente il caffè.
A partire dal Seicento, fa “febbre” del caffè avrebbe contagiato l’intera Europa. Inizialmente fu “conquistata” la città di Venezia già affermata e riconosciuta capitale di bellezza ed edonismo. Considerando che i mezzi di comunicazione erano limitati al “passaparola”, l’uso del caffè
si è affermò rapidamente oltre che nella capitale della Serenissima (dove nel ‘700 si contavano ben oltre 200 rivendite pubbliche di caffè) “prosperando” in mezza Europa. Grazie Prospero!