LA STORIA

Dopo 46 anni chiude anche Hugo,  il “tedesco” sindaco di viale Europa 

Il personaggio. Ultimi giorni di lavoro per Anrather, titolare del negozio di abbigliamento e merceria, considerato una istituzione del quartiere «Quando sono arrivato, qui davanti non c’era nemmeno l’asfalto. Verso via Resia era ancora campagna, un paio di masi, e i cantieri dei palazzi» 


Luca Fregona


Bolzano. «E come faremo adesso? Lei, Hugo, è un’istituzione... Ci vengo da quando ero bambina. Il quartiere non sarà più come prima». La signora abbassa gli occhi, poggia i calzini sul bancone. Gli scaffali sono vuoti. Poche cose ancora da vendere prima del 31 dicembre.

Uno dopo l’altro, Hugo Anrather sta salutando i clienti di una vita. Ancora due giorni e chiude. Generazioni intere sono passate di qui dal 1976, quando lui, sudtirolese di Magrè, aprì il suo “Mode Hugo”, abbigliamento e merceria, in pieno territorio “italiano”. Viale Europa numero 8, all’incrocio con via Palermo e la parte alta di via Visitazione. Un’area, all’epoca, al centro di una gigantesca operazione urbanistica, che nel giro di pochi anni ha visto crescere come funghi decine di condomini, e arrivare migliaia di famiglie.

Ha ragione la signora: quando chiude un negozio di vicinato su cui potevi contare da sempre (46 anni filati con solo due mesi di pausa durante il lockdown), si spegne una luce che difficilmente qualcuno riaccenderà.

A bottega a 14 anni

Hugo Anrather, 73 anni, è un signore elegante e gentile. Un gentleman vecchio stampo, alla David Niven.

Nato per fare questo mestiere: il commerciante di quartiere. «Ho iniziato a lavorare presto, a 14 anni», racconta, «a bottega in un ingrosso di vestiario. Il magazzino era in via dei Vanga, in quel passaggio nascosto che ancora oggi collega piazza delle Erbe. Era specializzato in capi di taglio tirolese. Lì ho imparato il mestiere. a capire i tessuti, la qualità, e a vendere».

Hugo, appena maggiorenne e neopatentato, viene spedito in giro a fare il rappresentante. «Come un trottola. In trentino, Cadore, Veneto. Seguivo i commercianti al dettaglio. Osservavo come, a loro volta, si rapportavano ai clienti». Sembra preistoria: non esistevano i centri commerciali né la vendita online. «Il negoziante era un punto di riferimento. Consigliava, stabiliva un rapporto stretto con la clientela. Di fiducia e anche di fedeltà». Il giovane Anrather capisce che è quello che vuole: un negozio tutto suo, a contatto diretto con la gente.

Una stretta di mano

«Dopo 14 anni passati da dipendente, era arrivata l’ora di avere qualcosa di mio. c’era questo piccolo negozio all’inizio di viale europa. Sapevo che la titolare, la signora Frigo, volevo cederlo. mi presento e concludo al volo». Basta una stretta di mano. La signora Frigo lo affianca un anno per introdurlo alla clientela.

Viale Europa nel 1976: un rione nato da pochi anni, in piena espansione. «Qui davanti non c’era nemmeno l’asfalto. la gente parcheggiava sullo sterrato. Verso via resia era ancora campagna, un paio di masi, e i cantieri dei palazzi dell’edilizia popolare». Anrather, per tutti, è “il tedesco”.

Andiamo dal tedesco

«Sì, la gente diceva così, “andiamo dal tedesco”. Ma senza cattiveria, non mi dava fastidio. Io poi sono della Bassa Atesina, abituato a passare da una lingua all’altra. per me conta solo la persona». Dopo qualche mese, il quartiere prende le misure e aggiusta il tiro. Anrather è gentile, disponibile, dà consigli pennellati, non importa se ci rimette. Fa credito, e, se non saldi in tempo, non ne fa un dramma. «Io dico sempre che un bravo negoziante deve essere onesto, sempre a disposizione e anche un po’ psicologo. Parlare con il cliente, dialogare, capire se sta vivendo un momento difficile, che esigenze ha, qual è la sua storia...».

Per farla breve: nel giro di qualche mese, “il tedesco” diventa solo “ Hugo” e poi “l’Istituzione”, con la I maiuscola.

Lo chiamano così, l’istituzione, perché la sua credibilità è pari solo a quella del sindaco. lui lavora sodo, sceglie marche di qualità, con una gamma di prezzi alla portata di tutte le tasche. abbigliamento uomo, donna, bambino. potenzia la merceria. bottoni, filati, aghi, tessuti. «era un altro mondo. si rammendava, si rattoppava, le cerniera rotta si sostituiva con una nuova. avevamo un paio di sarte che lavoravano con noi. oggi si compra il pantalone sul web, e si butta appena sgualcito o passato di moda».

Negli anni ’80 in viale europa apre una scuola tedesca, la media "Albert Schweitzer", arrivano le mamme da Gries, e la clientela diventa “mista”. Gli affari vanno bene anche perché “Mode Hugo”, grazie al passaparola, riceve ordinazioni da tutta bolzano e da mezzo Alto Adige. «La qualità è sempre stata il mio biglietto da visita», dice con pudore. Resiste all’assedio dei rumorosi cantieri per il sottopasso e i parcheggi che con le loro palizzate oscurano l’insegna.

Ma il negozio ormai è un punto di riferimento. Trascende il classico rapporto commerciante - cliente. tra gli scaffali scorrono storie belle ma anche tragiche.

Il ciao di Marcella

Anrather, per un istante, fissa assorto l’ingresso. «Marcella - mormora - mi salutava dalla vetrina. Abitava a pochi passi da qui. Veniva sempre con la sua mamma. è stato un grande dolore...». davanti a “Mode Hugo” passava anche l’assassino di Marcella Casagrande, Marco Bergamo. Occhi a terra e passo svelto. «Ci conoscevamo davvero tutti, viale Europa era un piccolo paese. Quella morte fa molto male ancora oggi».

Un grande amico di Hugo è Bruno Bertoldi, 104 primavere, l’ultimo sopravvissuto della strage di Cefalonia. «Quante volte mi ha raccontato il dramma della fucilazione e della prigionia, prima coi tedeschi e poi coi russi. Conoscerlo è stato un vero privilegio». Queste mura conservano decine, anzi, centinaia, di volti e di storie. «Ho clienti che venivano da bambine con la mamma, e che ora da nonne portano le nipotine. Mi capita di risentire le voci di persone che non ci sono più, di percepirne il profilo, il volto. le mie prime clienti, oggi avrebbero 110, 120 anni, anche più... Ecco: io le ricordo. Mi piace pensare siano ancora qui».

Un sorriso amaro che è quasi una smorfia.

«Mi spiace chiudere, ma è arrivato il momento. vorrei tanto che qualcuno rilevasse l’attività. Mi rendo conto che oggi con amazon, i centri commerciali, la burocrazia, i costi alle stelle, è un’impresa difficile. In viale Europa i piccoli negozi hanno chiuso tutti, ma se qualche giovane volesse provarci, ho ancora l'energia per dargli una mano e accompagnarlo».

Come la signora Frigo fece con lui 46 anni fa. ©RIPRODUZIONE RISERVATA.













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