Fra regole, fiducia e libertà



Un unico killer. Spietato. Contro il mondo intero. In quella che è la prima vera guerra globale. Nemmeno i più anziani ricordano una cosa del genere. Gli antichi bollettini di guerra diventano sbiaditi ricordi scritti dall’aberrazione della storia di fronte alle vite che sta falciando l’assassino invisibile. Il coronavirus sta annullando il presente, facendo volare i fogli sui quali stavamo scrivendo la nostra vita. 

Servono regole. Serve fiducia: nella scienza e nella conoscenza, prima di tutto. E serve che gli abitanti di un Paese così anarchico e portato all’individualismo, alle risse fra fratelli, alla critica fine a se stessa - per dirla con Dacia Maraini - scoprano che stare chiusi in casa, anche quando la casa è dannatamente piccola, non è una tragedia. Basta ritrovare un po’ di fantasia.

A chi invoca la Costituzione, a chi teme per la propria libertà (come se la libertà di un Paese si misurasse in una corsetta al parco, in una fuga in bici o nel far la spesa tre volte al giorno pensando di aggirare buonsenso e divieti), il presidente emerito della Corte Costituzionale, Gustavo Zagrebelsky, ricorda che «la Costituzione prevede che la libertà di circolazione e la libertà di riunione possano essere ristrette per motivi di salute, sicurezza, incolumità pubblica. E in ogni caso - aggiunge - la Costituzione consente l’adozione di decreti d’urgenza in casi straordinari di necessità».

Il tema, semmai, riguarda l’eccesso di norme. Un paradosso del federalismo, visto che alcuni territori rendono più severo o più leggero il decreto del governo. Sempre Zagrebelsky, dicendo che serve un atteggiamento costruttivo (che non è esattamente una nota specialità italiana) ricorda che «le ragioni di sanità, sicurezza e incolumità spettano allo Stato». Il che non vuol dire che si possano ammettere mezzi contrari alla dignità degli essere umani. Un esempio? La pessima abitudine di considerare i giovani diversi dagli anziani. Il coronavirus è peraltro mostruosamente democratico: colpisce ogni fascia d’età in ogni angolo del mondo. 

Molti di noi si sentono superiori non solo alle regole, ma anche alla vita e alla morte. Ma è il comportamento di ognuno di noi a compromettere o a salvare il destino della nostra città, di questo mondo che a forza di correre a gran velocità verso l’ignoto non sa più come fermarsi, come interpretare questa vita cambiata in modo repentino. La nostra agenda è passata da mille impegni a svariate croci su vari appuntamenti e, ora, a un deserto bianco con qualche punto di domanda. Ma non si può temere una pagina bianca da inondare di futuro. Se non riusciamo a riempirla di nuovi contenuti, se non riusciamo ad abitare questo strano libro senza tempo e senza frenesia, per molti, per troppi di noi, di altre pagine non ce ne saranno proprio.













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Valeria Frangipane

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