MALTEMPO E SELFIE

I nostri pilastri non sono nati in un salotto

Perché il Trentino ha retto - nonostante i tanti danni e le tragedie - all'ondata eccezionale di maltempo
Perché è riuscito a "salvare" anche Verona
Perché il Trentino ha una cultura di tutela del territorio che affonda le radici molto lontano
Perché il ministro degli interni, intanto, pontifica


Paolo Mantovan


C’è da essere orgogliosi nonostante tutto. Orgogliosi perché il territorio del Trentino ha retto contro la devastante ondata di maltempo. E se il territorio, per quanto ferito e lacero, è riuscito a reggere non è certo frutto del caso. Sono tre i pilastri su cui il Trentino ha poggiato la sua “resistenza” alla furia del maltempo: la pianificazione, la prevenzione e la protezione civile. Tre pilastri che non nascono da una tradizione asburgica o da una vocazione assistenziale. No. Sono tre colonne costruite negli ultimi decenni, per evitare nuove tragedie: la prova che c’è un’intera popolazione che ha lavorato davvero. Checché ne dica il ministro degli interni.

Sì, perché ieri, con uno dei suoi raid (quei classici mordi e fuggi che abbiamo visto anche nella campagna elettorale trentina) il ministro Matteo Salvini ha sorvolato il Bellunese accompagnato dal governatore del Veneto Luca Zaia e poi, per spiegare a tutti le cause di tanti danni da maltempo, ha distillato la sua tipica sentenza da campagna elettorale permanente: "Troppi anni di incuria e mal inteso ambientalismo da salotto, per cui non si tocca l'alberello e non si draga il torrentello e poi l'alberello e il torrentello ti presentano il conto". 

In Trentino gli alberelli e i torrentelli sono sotto osservazione da decenni. 

Lo abbiamo visto chiaramente la scorsa settimana: un intero territorio provinciale è riuscito a reggere la furia di qualcosa che a tratti somigliava a un uragano, a tratti faceva presagire un’alluvione, a momenti metteva l’ansia delle frane. Ci sono state anche due tragedie. Danni feroci. Complessivamente, però, il Trentino ha retto. E senza alcun dubbio il Trentino - con il suo complesso sistema di protezione, con le dighe che hanno svolto la funzione di laminazione delle piene e con l’utilizzo della Galleria Adige-Garda - ha evitato l’esondazione dell’Adige non solo in zona trentina ma soprattutto ha evitato l’esondazione a Verona, dove sono rimasti per ore e ore col fiato sospeso, a guardare il fiume ingrossarsi sotto i ponti della città scaligera.

Sì: il sistema di tutela trentino non è frutto del caso. Tantomeno di un ambientalismo da salotto. Il sistema di sicurezza e difesa ambientale trentino nasce da lontano. Prende forma con la pianificazione territoriale. Che a volte ci sembra una difficile carta di lettura del territorio e che poi, come oggi, si svela nella sua straordinaria capacità di difesa delle nostre vallate. Il Pup di Kessler negli anni Sessanta è stato il Pup dello sviluppo: ce n’era bisogno per far uscire il Trentino da situazioni di difficoltà. E fu un primo grande strumento. Ma poi venne Stava (ecco le grandi tragedie). E con Stava ci furono due grandi svolte. La prima fu proprio sull’urbanistica, perché l’allora assessore Walter Micheli fece un nuovo Pup, il secondo (vent’anni dopo Kessler), che aveva come principio “lo sviluppo attento ai limiti”. Fu lì che divennero centrali le carte geologiche. Fu così che il Trentino - straziato da Stava - decise che l’ambientalismo era una cosa seria, altro che salotto. È stato per questo che si è pianificato con rigore, che le scuole non sono state costruite in aree che si possono trasformare in “casse di espansione” dell’Adige, è stato per questo che rimangono “aree verdi” zone geologicamente di “pericolosità” elevata. E dopo le alluvioni si è lavorato incessantemente nel rinforzare gli argini di fiumi e torrenti, si è sviluppata l’azione di prevenzione che ha prodotto una manutenzione continua con i lavori dei bacini montani. E con il terzo Pup, quello di Mauro Gilmozzi, la cultura della pianificazione è diventata strategica: è divenuta “sistema”, la tutela del territorio accoppiata allo sviluppo è divenuta risorsa. 

Ma con Stava è nata anche la Protezione Civile. In Trentino e in Italia. È stato lì, per la prima volta, che si è capita la forza di coordinare ampie squadre di volontari. È stato da quel momento che la “professionalità” dei volontari si è estesa trasformandosi in un patrimonio necessario per ogni paese trentino. Ed è stato per questo che nel 2011 la protezione Civile si è rafforzata con una nuova legge, mantenendo il radicamento diffuso su tutti i Comuni del Trentino, con il legame diretto di ciascun pompiere con il proprio paese, con i vigili del fuoco permanenti soltanto nella centrale operativa di Trento. Un sistema diffuso capace di lavorare anche nel momento del pericolo; perché non basta la briglia, occorre anche chi sa usare gli escavatori (le “pachere” come si dice in buon dialetto) per spostare la ghiaia e liberare spazi quando la situazione si fa difficile, perché non servono a molto vigili del fuoco volontari che mandi soltanto a spazzare le strade (come avviene in altre regioni vicine). 

Ecco che cos’è successo in Trentino ed ecco perché il Trentino può dirsi orgoglioso, anche se deve leccarsi le ferite. 

Di nuovo c’è che con i cambiamenti climatici abbiamo scoperto anche un maltempo inatteso, come quelle raffiche di vento pazzesche che hanno abbattuto interi boschi. Qui è il caso di attivare un’attenzione superiore, davvero non da salotto. Né, tantomeno, da campagna elettorale permanente. Il Trentino spende 50 milioni l’anno fra bacini montani, protezione civile, dighe: in tutto 100 euro ad abitante. Potrebbe essere una buona idea per chi governa l’Italia invece che fare selfie dalle zone dei disastri.

 

p.mantovan@giornaletrentino.it













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