street art

I ragazzi che colorano i muri di Bolzano

Stanno trasformando le periferie in una infinita galleria d’arte a cielo aperto. La filosofia di Senka Semak, Nachos e Neno


di Luca Fregona


BOLZANO. Chilometri di muri anonimi prendono vita. Dai Piani a via Buozzi, da Maso della Pieve al casello A22: Bolzano è diventata un’immensa galleria d’arte. A cielo aperto, libera e senza ticket d’ingresso. Sono le periferie che si trasformano in un’unica grande tela: parcheggi, fabbriche, cavalcavia, marciapiedi lerci e magazzini abbandonati. Dovunque ci sia una superficie libera arrivano loro. Tutto legale, perché Bolzano - grazie a Riccardo Rizzo dell’associazione Volontarius che ottiene i permessi - è forse una delle città che più sta spingendo sull’arte di strada in Italia, dando spazio ai giovani writer.

Ieri mattina erano in tre a reinventarsi trenta metri di muro in via Piani, dietro il palazzo 12 della Provincia, a ridosso della ferrovia.

Nachos, fabbro di 30 anni, Senka Semak, falegname di 35, e Neno, studente di 24. I writer usano solo pseudonimi e soprannomi, un’abitudine che affonda le radici nei tardi anni Settanta, quando questa forma d’arte è nata nelle grandi metropoli come sfida a riempire gli spazi brutti e vuoti delle città. I primi writer riproducevano a ripetizione delle “tag” (delle sigle, degli acronimi) o il proprio nome. Poi le scritte sono diventate sempre più elaborate, complesse, arricchite di colori, pinnacoli, decorazioni, giochi ad incastro. Tutto - rigorosamente - a colpi di spray. Poi è arrivato Banksy con gli stencil, e la “scritta sul muro” è diventata un potentissimo mezzo di denuncia sociale. A ruota hanno cominciato ad andare in strada anche artisti più “commerciali”, che vedevano una nuova possibilità che superava i circoli viziosi delle gallerie. E così alle scritte si sono affiancate le “figure”. Oggi quello dei writer è un mondo variegato, dove gente come Nachos, Semak e Neno tiene ancora la barra salda a dritta. Fedeli alle origini, alla strada, e... allo spray.

Ieri mattina prima hanno steso il fondo sul muro. Perché ogni volta si riparte da zero. Si cancella quello che c’è sotto e si crea qualcosa di nuovo. La filosofia la spiega Semak, che sta lavorando su un “lettering”, una scritta che riproduce il suo nome. Un lavoro molto complesso che parte da un disegno, ricco di colore, scale cromatiche, profondità e intrecci da capogiro: «Diciamo che la sfida è aumentare sempre di più la complessità e il virtuosismo. Queste sono opere che si possono leggere a diversi livelli. Tra di noi valutiamo la capacità tecnica dell’autore, l’inventiva, la difficoltà. Esiste una sana competizione. La molla è: voglio fare qualcosa di ancora più bello degli altri. Un passante magari si ferma invece a una valutazione mi piace/non mi piace, che fa riferimento alla prima impressione o al gusto personale. E un critico d’arte ci vedrà qualcos’altro ancora...». Diventano opere astratte dove alla fine le “lettere” scompaiono in un ping-pong tra colori incastonati nel muro. Molta gente però accosta le creazioni dei writer alle scritte “selvagge” che appaiono sulle facciate dei palazzi. Il rischio di finire nella categoria “FOTTUTI VANDALI BASTARDI” è sempre dietro l’angolo. «Anche qui - risponde zen Semak - bisogna distinguere. Allora: noi lavoriamo in modo legale, su superfici concesse da privati o amministrazioni pubbliche. Abbiamo tutto il tempo che vogliamo. Per fare un graffito ci vogliono uno, due giorni. Poi ci sono invece i writer che fanno il cosiddetto “bombing”, ripetono ovunque il proprio nome anche dove - in teoria - non si può. Siccome è illegale, la velocità è tutto. La bravura sta nel fare una scritta bella e tecnicamente valida con pochi colpi di spray...»

Insomma, premesso che Semak non lo direbbe mai perché lui rispetta tutti, la differenza tra uno sgorbio e un capolavoro passa sempre dalla mano – e dalla coscienza - dell’autore. Qui ai Piani invece l’opera è pensata e realizzata con grande cura. E anche con un certo candore. Questi tre ragazzi hanno il disegno nel sangue sin da bambini. C’è chi ha studiato grafica, e chi ha fatto il liceo artistico, ma la creatività scorre a dosi generose. Le linee escono in modo naturale. Usano le bombolette come fossero pennelli. Noi vediamo solo un muro, loro vedono già il disegno fatto e finito. Sanno già come sarà.

Passa una signora e butta l’occhio: «Bravi, mi date allegria. Questa strada fa schifo, non c’è nemmeno un albero. Ma fate un po’ più di figure e meno ghirigori». Semak sorride: «Non si preoccupi, facciamo tutte e due». Indica un meraviglioso murale poco distante: un uccello spicca il volo da una rosa. «Lo ha fatto un ragazzo sudamericano che vive a Bolzano. È una tecnica classica, completamente diversa da quella tradizionale dei writer. Ma è la dimostrazione di come l’arte di strada ormai comprenda tantissime cose diverse».

Nachos sta disegnando un gigantesco panda che cavalcherà una scritta: «Alla fine sotto il panda si leggerà “Damiano”, che è il nome di mio figlio. È appena nato ed è un po’ cicciottello. Proprio come un piccolo panda. Lo dedico a lui...». Cuore di writer.

Realizzare un graffito costa in bombolette dagli 80 ai 100 euro. Poi tanta passione. Non ci sono rimborsi spese, compensi o pranzi pagati. «Si perderebbe completamente lo spirito. Noi abbiamo un nostro codice, delle regole non scritte che però rispettiamo», dice Semak. È una comunità molto pacifica, legata a maglie strette alla cultura hip-hop e alla musica. Al “vivi e lascia vivere”. Nachos è turbato per l’ascesa di CasaPound nei quartieri, tra i ragazzi. «Noi siamo colore, loro sono il buio», dice. Ma forse sottovaluta il potere del suo panda pacioso. Pronto a saltare in strada per spruzzare “arcobaleno” sull’asfalto.

Ps: per chi volesse, questa mattina sono ancora ai Piani.













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