Quartieri

Il “porto” aperto che accoglie tutti i bambini 

In via del Ronco a Bolzano. Al Centro giovanile il Melograno, 35 volontari seguono tutti i giorni bambini e ragazzi di elementari e medie. Dai compiti al gioco: l’oratorio 2.0 dove s’impara a non mollare. Mai


Luca Fregona


Bolzano. Manuel, Elena e Caterina fanno i compiti con la “maestra” Maddalena. Rahma, Sorin, Dylan e Melanie i biscotti di Natale con le “maestre” Paola, Antonia e Natalina. Impastano, tirano la sfoglia, preparano gli stampi e infornano. Montagne di biscotti: alla vaniglia, alla cioccolata, al limone, al cocco... Bambini e bambine, ragazze e ragazzi, dalla prima elementare alla terza media. È il progetto “Portofranco” del Centro giovanile il Melograno, al civico 6 di via del Ronco.

A due passi da Viale Europa, a un tiro di fionda da via Cagliari, sul confine immaginario tra Don Bosco ed Europa-Novacella. Il “porto” apre tutti i pomeriggi alle 14.30, dal lunedì al venerdì. Si fanno i compiti insieme a insegnanti, educatori, e studenti più grandi delle superiori. Tutti volontari. Poi, dopo la merenda delle 5, si gioca o si partecipa ad uno dei tanti laboratori: disegno, cucina, computer, musica. Il corso di chitarra, quello dei biscotti, il bricolage, la ginnastica in palestra. E via andare fino alle 18.30, quando i genitori rientrano dal lavoro e passano a prenderli.

Sempre “guidati” e protetti da 35 volontari e volontarie di tutte le età, che si danno il cambio durante la settimana. Tutti motivatissimi. Molti di loro hanno frequentato il centro da piccoli (il Melograno nasce alla parrocchia dei Carmelitani nel 1985, dal 2000 è in via del Ronco). E adesso “ricambiano” mettendo a disposizione uno spicchio importante della loro vita. Ogni giorno c’è un coordinatore diverso che dà il ritmo al pomeriggio. Oggi, ad esempio, tocca a Teresa Finetto, una colonna del centro giovanile. “Portofranco” è un’evoluzione 2.0 del vecchio oratorio. Un “porto” aperto e inclusivo. L’ispirazione è cattolica ma qui nessuno chiede ai bambini che Dio pregano prima di addormentarsi. Se Gesù Cristo, Allah o Vishnu. E quando si cucina tutti insieme (perché la preparazione e la condivisone del cibo è fondamentale), si preparano piatti che rispettano tutti i precetti religiosi e culturali. Prima della merenda, dicono una preghiera scritta a quattro mani da due di loro: un bimbo mussulmano, e uno cattolico. Si mettono in cerchio e recitano insieme un inno alla fratellanza.

Chiedono a chi sta in cielo (Gesù Cristo, Allah o Vishnu) di aiutare “i bambini meno fortunati di noi”. Una supplica che apre il cuore.

L’isola tra i palazzi. C’è un estremo bisogno di posti così, in questi quartieri dove l'edilizia sociale anni Settanta e Ottanta è stata impilata in “verticale” per non toccare il cuneo verde di Gries. Stipata in casermoni diventati alveari dove i genitori devono fare due lavori per campare, gli anziani si barricano, e i ragazzini spesso restano soli. Qui vicino, tra cortili di cemento, scale Ipes, ascensori perennemente rotti e altalene in mezzo al nulla, sono nate le aggressive “baby gang”. Che oggi sono in ritirata anche grazie ai numerosi centri giovanili, che disinnescano la rabbia autodistruttiva per l’esclusione sociale o la bassa stima di sé. La responsabile Antonia Lamarucciola spiega così la filosofia del “Porto”: «Primo: far capire l’importanza della relazione tra le persone. Cerchiamo di educarli al rispetto tra di loro e verso gli adulti: la cosa più bella è quando ci dicono che siamo un luogo caldo, accogliente. Una comunità».

Nessuno resta fuori. Una famiglia allargata, con provenienze, tradizioni, lingue, possibilità e religioni diverse. Qui dentro sono tutti diversi e tutti uguali. Il rispetto è la base di tutto. E così, piccolo miracolo, i bambini non guardano le differenze, ma quello che li unisce. Nel “porto aperto” di via del Ronco s’intrecciano molte storie, a volte problematiche, qualcuna drammatica. «Lo capiamo al volo - spiega - anche se i genitori non ci dicono niente». Può capitare che le famiglie tacciano per paura che poi i piccoli non vengano accettati. «Ma non qui - dice Antonia, che si commuove -. Qui nessuno viene lasciato fuori dalla porta. A noi piace accogliere tutti». Che la cosa funzioni si vede al volo. Dal rispetto e dall’affetto che questi bambini e ragazzi portano ai volontari. Si scherza, si ride, si grida, si canta, si piange, si litiga. C’è tutto il campionario under 14. Tutto quello che fanno bambini e ragazzi in ogni angolo del mondo dalla notte dei tempi. Ma, se serve, a Teresa Finetto basta uno sguardo, una lieve inclinazione della voce, per riportare l’ordine o sedare l’accenno di una lite. I genitori si fidano. «Siamo diventati un punto di riferimento per le famiglie del rione». E anche per le scuole: dalle Ada Negri alle Pestalozzi, alle Don Bosco, i rapporti con i docenti sono continui.

L’uomo delle domande. Al “Porto” Claudio Fusaro è l’«uomo delle domande». Nel senso che a lui, specialmente i più grandi, rivolgono le domande più importanti. Quelle dense, intime, sul senso delle cose e degli affetti, sul loro posto nel mondo e quello che li aspetta là fuori, in mare aperto. «Fino alla terza media hanno bisogno di essere guardati in faccia, ascoltati, accompagnati nella vita, nella durezza della vita - dice -. Non c’è domanda a cui non si possa tentare di dare una risposta» Fusaro insegna religione alle Archimede, segue nei compiti quelli che fanno più fatica. I compiti vengono prima di tutto, perché la libertà, l’emancipazione, il futuro passano dallo studio e dalla scuola. Batte il chiodo Claudio Fusaro. In prima linea contro l’abbandono scolastico e lo scarso rendimento in classe. T’insegna a non mollare. E se qualcuno ha bisogno di un’attenzione in più, nessun problema, «ci prendiamo tutto il tempo che ci vuole».













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