Il referendum che ci divide in otto (8) categorie



Manca più di un mese al referendum sulla riforma costituzionale. Ma il clima è già feroce. Un clima che - chi li ha vissuti - sostiene sia per molti versi simile a quelli del referendum sul divorzio o sull’aborto:  un clima da Italia divisa, spaccata a metà. Divisa al punto che persino tra amici, proprio come allora, è difficile discutere senza litigare: perché si scontra anche chi (fino a prima di questo referendum) credeva di avere o di fare parte della stessa visione del mondo.  Si è spaccato a metà il popolo della sinistra ed è ampiamente diviso anche il popolo della destra.

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E la cosa straordinaria è che non siamo di fronte a una vicenda - come aborto e divorzio - che ci porta a un quesito secco. Stiamo parlando “soltanto” della riforma del bicameralismo e del rapporto fra Stato e Regioni, cose di cui la stragrande maggioranza degli italiani fino a ieri (e forse a tutt’oggi) sa molto poco e si interessa molto molto poco. Eppure all’improvviso pare che dentro questo referendum sia racchiuso il senso del mondo e del futuro. Almeno per ciò che riguarda l’Italia. È ben vero che gli italiani sono passionali e polemici, ma perché mai si è arrivati, a più di un mese di distanza, a un tale furore “agonistico”?
Dentro questa divisione è anche possibile osservare che gli italiani rientrano in diverse categorie. Qui proviamo a fare una breve lista (certamente non completa) delle categorie che abbiamo riscontrato, partecipando a dibattiti pubblici e privati. Categorie che riguardano tutti: insegnanti, imprenditori, commercianti, operai, professionisti, studenti.
I modernisti (SÌ)
Sono quelli per il Sì perché altrimenti si resta fermi al palo, perché il mondo va avanti e non si può restare a guardare. Quando viene posto un dubbio sulla riforma dicono che non si può stare a sottilizzare sempre e quando si dice che si poteva fare una riforma migliore ribattono che “il meglio è nemico del bene”. In larga misura sono già renziani, della prima o della seconda ora.
I puristi (NO)
Sono quelli che votano No sostenendo che ogni modifica è un obbrobrio. Che la Costituzione è talmente pura che non può essere modificata da una riforma approvata sulla base di una maggioranza parlamentare dichiarata incostituzionale dalla Corte (340 seggi invece dei circa 180 che le sarebbero spettati senza “Porcellum”). In genere sono degli antirenziani travestiti da difensori della Costituzione.
Gli schifisti (SÌ)
Sono quelli che - ritenendo che si tratti di una riforma che fa schifo e che è assurdo stare a difendere in sé e per sé - tagliano il discorso dicendo che bisogna votare Sì altrimenti la palla passa ai populisti ed è la fine. Come si capisce, non sono dei renziani convinti, ma in definitiva scelgono il “male” rispetto al “peggio” (che non riguarda più la costituzione, ma le conseguenze del voto).
I “non succede nulla” (NO)
Sono una delle categorie più sofisticate ed è quella che si oppone agli “schifisti”, ne fanno parte soprattutto intellettuali. Il ragionamento che propongono è che la modifica sia pessima e che si debba dire No senza timori: sostengono che l’esito negativo non farà cadere Renzi o che, al massimo, porterà alla formazione di un governo simile, comunque di larghe intese, e che il Cnel si può abolire anche con una nuova modifica di un solo articolo. In buona parte sono antirenziani della seconda ora, nonché di centrosinistra.
Gli agnostici (SÌ)
Sono coloro che non si pongono troppe domande perché intuiscono che ci sono aspetti buoni e aspetti meno buoni della riforma. In genere sono poco interessati ma capiscono che ormai il quesito si rivolge anche a loro. Vorrebbero dire “me ne frego”, ma temono che il No abbia effetti devastanti sull’economia. In generale si tratta di professionisti e imprenditori, spesso liberali o di destra.
I regionalisti (NO)
Sono quelli che non darebbero mai nulla in mano a una Regione del Sud, ma che di fronte a questa modifica costituzionale e di fronte al neocentralismo statale sono convintissimi di votare No. Nella nostra regione sono numerosi, perché pensano che il depotenziamento delle Regioni ordinarie porti uno scompenso anche a Regioni e Province autonome: un divario così ampio non potrebbe che essere la premessa per un futuro svuotamento delle autonomie. Visione ristretta, ma secca.
I soldati
Sono gli attivisti dei vari partiti o delle correnti dei partiti. Stanno dalla parte del Sì o da quella del No riempiendosi la bocca di slogan. Inaspriscono il clima.
I convinti in buonafede
È l’ultima delle categorie. Era la fetta più ampia fino a qualche settimana fa: molti cittadini che si stavano orientando in base alle delucidazioni sulle modifiche della riforma. Poi le altre categorie hanno preso sempre più piede e stanno assorbendo anche gli ultimi incerti.

È così che si va verso una divisione ancora più lacerante. Sempre meno legata alla sostanza della riforma. Fra timori di deriva plebiscitaria da una parte e timori di crollo dell’economia dall’altra. Una divisione di cui forse non sentivamo grande bisogno. Ma che ci ritroviamo davanti agli occhi.

p.mantovan@giornaletrentino.it













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