L'opera

Isacco, il figlio della promessa

È una storia bella e terribile quella raccontata da Luca Miele, giornalista di Avvenire e scrittore, nel suo nuovo "il figlio della promessa" (Claudiana, 2024). Miele ha già all’attivo libri che...



È una storia bella e terribile quella raccontata da Luca Miele, giornalista di Avvenire e scrittore, nel suo nuovo "il figlio della promessa" (Claudiana, 2024). Miele ha già all’attivo libri che coniugano icone della cultura pop come Bruce Springsteen o Jack Kerouac e la religione, Questa volta affronta un mito fondativo del popolo ebraico, ma in parte anche del mondo arabo-islamico, la storia di Abramo e dei suoi due figli, Isacco e Ismaele, il primo avuto dalla moglie Sara, il secondo dall’egiziana Agar. Una storia che risulta particolarmente ricca di interrogativi e ambiguità morali.

Isacco è il figlio promesso da dio ad Abramo, il patriarca che lascia con la sua tribù il luogo in cui è nato per insediarsi nella Terra Promessa, o se preferite nell'odierno Israele (grossomodo). Ed è un ragazzo fragile, ombroso. Ismaele è un prodotto della cattività egiziana della tribù di Abramo.

Gli antenati degli ebrei avevano lasciato Canaan a causa di una carestia, una delle tante prove incomprensibili a cui dio sottopone il suo popolo. Quando decidono di tornare in patria il faraone, che li aveva accolti, li riempie di doni e di schiavi, quasi presagisse che con questa gente è meglio restare in buoni rapporti. A questo punto, siccome Sara non riesce a dare un discendente legittimo ad Abramo, gli propone di giacere con la schiava Agar.

Che infatti gli partorirà subito un figlio, Ismaele, forte e fiducioso. Ma quando Sara, pur se anziana, può dare a sua volta un erede al marito, finalmente confermando la profezia, chiede ad Abramo di scacciare Agar e Ismaele nel deserto. Ed è nel deserto che Ismaele crescerà, cacciando gli animali per sfamare se stesso e la madre e divenendo un profeta e un progenitore per il popolo arabo.

Quanto sangue è stato generato da questi miti fondativi, crudeli, sabbiosi, impastati di sudore e sperma. Miele li esplora con gli strumenti propri dello scrittore, dando la parola di volta in volta a ciascuno dei protagonisti, con uno stile denso, ricercato, lirico. Lo fa portando alla luce la psicologia dei protagonisti ma mostrando anche la loro carnalità. Su questa tela caravaggesca Abramo si muove come un leader abile, accorto. Sfrutta le situazioni a suo vantaggio, e non indietreggia mai, neanche quando la Voce gli chiede l’estremo sacrificio, il più enigmatico. Miele si ferma un attimo prima che la mano di Abramo si levi per scannare il figlio Isacco come un agnello sacrificale, e quindi prima che dio fermi quella mano, uno degli episodi più noti delle Scritture.

Si ferma sulla soglia di una domanda, l’unica che ciascuno dei protagonisti può formulare: perché? Perché?













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