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L’ENIGMA DELL’ ANANAS RITROVATO NELLA VILLA DI POMPEI 



Sono oltre 4 milioni i visitatori che ogni anno comprano un biglietto una passeggiata tra gli scavi archeologici di Pompei per “scoprire” gli affascinanti i misteri della città “cancellata” dalla catastrofica eruzione del 79 d. C. I motivi di interesse per aggirarsi tra quelle rovine sono molteplici. Da quelli dettati da esigenze di studio a quelli, un po' più “popolari”, che inducono a una curiosità voyeuristica per “dare un’occhiata” - ad esempio - al “tariffario” illustrato ancora presente nei corridoi dell’antico postribolo o, simpaticamente, “far finta di non vedere” le rappresentazioni della casa di Vetti o, ancora, immaginare quali oscuri riti esoterici accadessero nella Villa dei Misteri.

Le scoperte che si susseguono a Pompei mi hanno indotto a tornarci per l’ennesima volta. Tra i mille “arcani” che la città propone continuamente a studiosi e curiosi ce n’ è uno – ovviamente ancora senza risposta – che è destinato a riscrivere l’intera storia del mondo. Comprensibilmente il tema viene trattato con la dovuta discrezione e prudenza, ma che ormai sfocia in sospetta omertà.

Si tratta di un autentico “enigma” storico che affascina e divide – ormai da alcuni decenni - eminenti studiosi pompeiani e non solo. Nella “casa dell’Efebo”, nella parte bassa della città sono stati infatti ritrovati dei dipinti murali assai singolari. In alcuni è raffigurato nientemeno che un … ananas. I romani raffiguravano spesso la frutta. Grappoli d’uva, mele, prugne, melograni e quant’altro sono immagini ricorrenti. Ma raffigurare un ananas proprio no. Perché? Perché l’ananas è un frutto esotico che arriva dalle regioni centrali e meridionali del contenente americano dove ha il suo habitat naturale primigenio. E allora: come si spiega la presenza della raffigurazione di un frutto assolutamente “esotico”. Un ananas? “Impossibile” è stata l’affrettata risposta degli studiosi che – fedeli alla storiografica ufficiale che vuole Cristoforo Colombo scopritore delle Americhe nel 1492 – hanno ritenuto che quella frutta raffigurata nei dipinti pompeiani fossero null’altro che delle più comuni... pigne.

Sta di fatto che il giallo dell’ananas di Pompei è diventato un autentico “caso” archeologico. Oggi alla “Casa dell’Efebo” di Pompei che ho potuto visitare (benché sia spesso interdetta alla fruizione pubblica), l’affresco raffigurante l’ananas (a corredo riporto l’immagine di Elio Cadelo dal suo recente libro “Piante americane nella Roma imperiale” che segue la sua precedente ponderosa ricerca “L’Oceano degli antichi”) non è di fatto più visibile. Ufficialmente è stato “trasferito” per… motivi di studio. Un altro affresco che ancora meglio lo raffigurava tra due serpenti era a sua volta “sparito” - definitivamente - già negli anni ‘60. Va detto comunque che quelli raffigurati alla Casa dell’Efebo non sono gli unici ananas “ritrovati” a Pompei. Ci sono infatti anche i mosaici rivenuti alla Casa delle Colombe (oggi all’archeologico di Napoli) dove i tre evidenti ananas sono stati classificati come “pigne”.

Il motivo della “riservatezza” delle fonti ufficiali è evidente in quanto pone un quesito epocale: ma i romani come potevano avere gli ananas a tavola? Erano, forse, andati in Sud America? E come? Si tratta di una serie di interrogativi tutti senza risposta, ma che però – grazie a studi recenti di paleobotanica, di ricerche sulle correnti marine, sugli alisei atlantici, nonché il ritrovamento in Centro e Sud America di “singolari” reperti archeologici (quelli di Camalcalco in Messico) – pongono e aprono nuove inedite prospettive.

Tra le mille meraviglie che Pompei svela quotidianamente che dire, ad esempio, anche i recenti ritrovamenti di ossa di giraffa? La carni (durette per la verità!) di quei mammiferi africani veniva probabilmente servita nelle tabernae meno rinomate. Esempi di gobalizzazione? Niente di nuovo sotto il sole.















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antonella Mattioli