L'ergastolo a Benno Neumair, la fine di un incubo



La fine di un incubo. Per quel che resta di una famiglia devastata. Per un’Italia che tende ad accorgersi di noi solo quando il mondo si rovescia e nel piccolo villaggio di Heidi accade qualcosa di indicibile. Per una comunità che ha vissuto, sofferto, cercato invano di capire ciò che non si può capire: l’assassinio dei genitori. Quella di sabato 19 novembre non è solo una sentenza. È una specie di liberazione: l’ultima pagina - al di là degli inevitabili strascichi e dello scontato appello - di un libro dell’orrore che ha finito col coinvolgere tutti. Perché, a distanza di anni, ricordiamo ancora i nomi dei figli che hanno ucciso i genitori. Pietro Maso. Erika De Nardo. E ora Benno Neumair, il figlio della famiglia bene bolzanina. Il giovane palestrato. Il fratello che odiava la sorella e i genitori, ai suoi occhi “colpevoli” d’amarla più di quanto amassero lui. Intanto s’allunga l’elenco dei ragazzi che si fanno belve per togliere la vita a chi ha dato loro la vita. Con dei perché che riposano in sentenze, in ricordi e sospetti carichi d’angoscia, nell’allucinante leggerezza con cui si calpesta la vita. Le definizioni sono e saranno tante, per Benno. Tatuaggi sull’anima di una famiglia piegata dal dolore. Profonde cicatrici sui pensieri di una città che ha voglia di ritrovare quella normalità che copre e dimentica tutto almeno sul piano delle apparenze. Il verdetto è prima di tutto una risposta terrena a Madè, la figlia e sorella sopravvissuta. La ragazza che ha capito tutto fin dal primo istante, anche se si è aggrappata alla speranza tutta indecifrabile d’aver intuito male. La donna - perché Madè in questi due anni ha lasciato per sempre l’età dell’innocenza - che ogni giorno è stata in aula, quasi a rappresentare mamma Laura e papà Peter, quasi a dar loro un’altra forma di vita, un altro modo di parlare, di farsi sentire, di difendersi. Li ha rappresentati con diligenza dolorosa e con triste costanza, guardando in faccia non solo il fratello, ma la più tragica delle realtà. Ora i riflettori si spengono. E cala il sipario anche sull’esistenza di Benno, una vita che l’ergastolo accartoccia, come un vecchio e inutile foglio ingiallito da buttare in un cestino della memoria. Avrà tutto il tempo, Benno, per pensare a ciò che ha fatto, per rimettere insieme cocci fatti di narcisismo e d’incapacità di leggere l’amore dei genitori e la realtà. Se ne starà con i suoi incubi, che per due anni sono stati in fondo anche nostri.













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