LA “LETTERA DEL DIAVOLO” DEL MONASTERO DI MONTECHIARO
Era l’alba dell’11 agosto 1676. E faceva già caldo al termine di una lunga nottata in cui l’afoso vento di scirocco aveva reso difficile poter prendere sonno...
Era l’alba dell’11 agosto 1676. E faceva già caldo al termine di una lunga nottata in cui l’afoso vento di scirocco aveva reso difficile poter prendere sonno. Suor Maria Serafica, rigorosa badessa del monastero di clausura delle monache benedettine di Palma di Montechiaro in Sicilia, quella mattina era particolarmente nervosa e non riusciva a nascondere una preoccupata irrequietezza. Tutte le consorelle avevano partecipato, come di consuetudine da quando avevano accettato di vivere dietro alle grate di quella severa “casa del Signore”, alla consueta recita delle lodi del mattutino. Quella mattina, però, a quell’appuntamento con la preghiera e la meditazione non era presente, suor Maria Crocefissa della Concezione. La sua assenza venne notata, ovviamente, di tutte le consorelle che, più che assorte dalla contrita recita degli Atti di dolore, furono intente a bisbigliare commenti infrangendo la ferrea regola del silenzio. La badessa, al termine del rito, si precipitò alla cella della consorella. Davanti a lei apparve una scena raccapricciante. Suor Maria Crocefissa della Concezione giaceva priva di sensi riversa a terra. Il volto era imbrattato d’inchiostro. Nella sua mano sinistra stringeva un foglio scritto con caratteri illeggibili. Un mix disordinato di parole scritte in latino, greco, armeno, aramaico e arabo. Cosa significavano? L’unica parola intelleggibile era un misterioso “ohimè”? Ancor oggi quello scritto non è stato decifrato. In compenso si sa – o almeno si narra e si favoleggia – che sia una lettera blasfema che il diavolo in persona avrebbe costretto a scrivere sotto dettatura alla povera suor Maria Crocefissa.
Si sa invece che, prima di varcare per sempre le mura di quel monastero, Maria Crocefissa della Concezione, era una ragazzina di soli 15 anni che si chiamava Isabella Tomasi. Era una nobile. Era nata il 29 maggio 1645 ad Agrigento nel palazzo dei potentissimi principi Tomasi di Lampedusa di cui era una erede. La ragazzina – come allora era tristissima consuetudine - contro la propria volontà venne costretta a diventare “monaca” e ad entrare, conseguentemente, nel severissimo monastero di Palma di Montechiaro. Allora era il più severo e ambito di tutta la Sicilia. Contava su 130 celle individuali in cui vivevano altrettante consorelle. Tra quelle mura non avrebbero mai più incontrato un proprio caro e non sarebbero più uscite. Neppure dopo la morte. La giovane Maria Crocefissa, raccontano i testi sacri ufficiali, venne travolta dalle severe (e talvolta “macabre”) regole imposte dal Concilio di Trento a chi fosse costretta alla clausura. Sta di fatto che lì, la giovane erede dei Lampedusa, consumò l’intera sua esistenza all’intero delle mura di quel monastero vivendo una quotidianità fatta solo di preghiere, digiuni, allucinazioni e visioni mistiche.
La misteriosa lettera – a noi nota come “Lettera del diavolo” - è conservata, segretissima e non visibile, ancor oggi nel monastero di clausura di Palma. Visibile è invece la “pietra del diavolo” che il demonio avrebbe lanciato contro la porta del monastero dietro le cui mura e fitte grave viveva segregata dal mondo la povera Maria Crocefissa. Me l’ha fatta vedere, qualche tempo fa, assieme alla tomba della sventurata suora (elevata al rango di Venerabile della chiesa) il signor Costantino. Per anni premuroso custode del Monastero di Palma di Montechiaro, Costantino mi aprì il portone di quel luogo sacro (dove oggi vivono solo 3 suore) non senza circospezione. Il passepartout fu però la mia provenienza. A Bolzano, anzi a Bozen, Costantino aveva lavorato per anni durante la sua gioventù. Proprio questa fortuita coincidenza mi ha consentito di poter percorrere – quasi fosse un previlegio “sacrilego” - i lunghi corridoi e i luoghi sacri più segreti di quello scrigno di storie, di drammi e di estasi che lì, per secoli, si sono consumati.