Laura e Peter: la speranza (questa volta) è morta per prima



Non sempre è l’ultima a morire, la speranza. Questa volta è infatti morta per prima. Dopo poche ore. In un grumo di terrore, supposizioni, incubi e sostanziali certezze. S’è spenta immediatamente negli occhi di Madè, la speranza: la figlia di Laura e di Peter in questi giorni è diventata la figlia di un’intera comunità che ha sofferto con lei, cercando risposte a qualcosa di disumano che l’umanità non può conoscere. Ma è morta anche nello sguardo di Carla, sorella di Laura, che fin dall’inizio ha percepito e in un certo senso sentito ogni cosa: nella pelle e nel cuore. Il dolore, all’ennesima potenza, di chi resta. Il dolore di chi per oltre un mese non ha avuto corpi su cui piangere, ma solo ferite che oggi certo non si rimargineranno, ma che - al di là di ciò che spetterà ai tribunali stabilire - iniziano a prendere forma. Il dolore di chi ha potuto solo abbracciare e confortare in queste giornate infinite e indefinite Madè, la ragazza rimasta orfana d’ogni cosa. Ha perso la madre. Ha perso il padre. Ha perso, da ogni punto di vista, anche il fratello. Ha perso le vite di chi avrebbe voluto e dovuto riempire ancora per molti anni la sua, di vita. È morta, la speranza, anche nei pensieri di Günther, che giustamente non si dava pace senza sapere dove fossero finiti il corpo di suo fratello Peter e quello di sua cognata Laura.

La speranza è morta concretamente prima di ogni altra cosa, in questa tragedia: perché non c’è mai stato un appiglio anche minuscolo al quale cercare di aggrapparsi. Non s’è mai visto uno spiraglio, un segno di vita almeno apparente, un brandello di luce nel buio di una violenza assurda, persino inconcepibile. Ed è un dramma, quello di Laura Perselli e di Peter Neumair, che annienta come pochi altri: perché sembra far parte di noi, dei nostri vicini di casa, della nostra normalità apparentemente dorata. Il ritrovamento del corpo di Laura nel fiume segna una fine e un inizio: la fine di un’angoscia resa ancor più dolorosa dall’assenza, dalla scomparsa, da una risposta che ora è definitiva. L’inizio di un dolore che nemmeno un’eventuale piena confessione del figlio accusato del duplice delitto e dell’occultamento del cadavere dei suoi genitori, di chi gli aveva donato la vita, potrà mai curare. Tutti aspettano risposte proprio da Benno. Ed è così da quel primo, lunghissimo giorno in cui non andò a denunciare la scomparsa dei genitori, se non quando la sorella di fatto lo costrinse a farlo. I processi di carta servono a poco. E quelli nelle aule di giustizia - quand’anche ricostruissero un movente, come se qualcosa potesse giustificare ciò che è successo - non potranno mai ridare una famiglia a Madè, a Carla, a Günther, a tutte le persone che per diverse ragioni si sono ritrovate sotto riflettori che non avrebbero mai voluto vedere. In una storia che non avrebbero mai voluto vivere. In una catastrofe di emozioni che si sgretolano come un castello di rabbia consumato dal vento del dolore.













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