Le “correzioni” e la Lituania scorretta di Franzen
“Le correzioni” di Jonathan Franzen (Einaudi, 2002, trad. Silvia Pareschi) è uno di quei romanzi che ho letto praticamente tutto d’un fiato, nonostante la lunghezza.
Capolavoro della narrativa americana di inizio secolo, racconta la storia di una famiglia moderatamente disfunzionale, dove con “moderatamente” intendo una famiglia della classe media alle prese con problemi come matrimoni falliti, ambizioni lavorative frustrate, depressione, Alzheimer.
La famiglia Lambert, insomma, non è la poverissima famiglia hillbilly di JD Vance, il neo-vicepresidente americano che recentemente è venuto a farci la predica in Europa (del suo libro abbiamo già parlato in questa rubrica).
Qui però non voglio parlare de “Le correzioni” in quanto tale, libro conosciutissimo, ma accennare a un tema più limitato: la rappresentazione dei paesi stranieri da parte degli scrittori americani. Mi riferisco a una repubblica baltica, la Lituania. Che a un certo punto compare nel romanzo di Franzen perché uno dei protagonisti, Chip, scrittore fallimentare e insegnante universitario messo alla porta per le solite questioni (ha avuto una storia con una studentessa, comportamento imperdonabile negli atenei americani), approda lì, un po’ perché non sa cosa fare della sua vita e un po’ perché ci viene trascinato.
Com’è la Lituania raccontata da Franzen? Un paese dove è incredibilmente facile fare sesso (l’idea che noi maschi italiani avevamo della Svezia negli anni 70), e dove è altrettanto facile fare soldi sfruttando le opportunità della finanza “sporca” e il web. Infine, un paese che è stato usato dall’URSS come una discarica e con un altissimo tasso di instabilità.
Quello che mi sono chiesto è se oggi uno scrittore potrebbe dipingere così un paese come la Lituania. Cioè, se il “politicamente corretto” lo permetterebbe. Ma lo stesso discorso vale per un altro romanzo americano di quegli anni, “Ogni cosa è illuminata”, di Safran Foer (forse avete visto il film che ne è stato tratto), ambientato in Ucraina.
Ovviamente i paesi cambiano e le Repubbliche Baltiche di oggi non sono quelle dei primi anni 2000, pensiamo già solo a Kaja Kallas. Ma a cambiare è anche la sensibilità. Non che Franzen ne sia privo, intendiamoci. Anzi, la sua descrizione dei meccanismi finanziari che porteranno il mondo di lì a poco alla devastante crisi finanziaria del 2008 è estremamente lucida, così come è pertinente la denuncia delle speculazioni legate all’industria della difesa che comparirà nel romanzo successivo a “Le correzioni”, il sottovalutato “Libertà”. Ho solo pensato a come sia difficile per uno scrittore fare lo slalom fra temi e situazioni che potrebbero offendere qualcuno, nell’era dei nuovi nazionalismi e del woke.
Franzen peraltro non è un autore “politicamente scorretto”: vegetariano, ornitologo, anti-internet, è anzi quanto di più aderente potremmo immaginare alla coscienza “liberal-progressista”. Ed è un fine psicologo: la scena in cui Chip fugge dalla Lituania con i pantaloni calati, scampando quasi per miracolo alla morte, ma pensando a tutt’altro, cioè a cosa mancava nella sua opera letteraria, l’ironia, è una delle descrizioni più illuminanti che io abbia mai letto della “mente dello scrittore”.
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