Le infiltrazioni (mafiose) che tendiamo a non vedere



In giorni in cui ricordiamo l’attentato a Paolo Borsellino e in cui ci interroghiamo sui tanti (troppi) misteri che ancora accompagnano l’assassinio del magistrato che insieme a Falcone divenne il simbolo della Sicilia e dell’Italia migliore, la Direzione investigativa antimafia deposita una relazione che mette i brividi. Questa volta non parliamo del Sud di questo nostro Paese a dir poco martoriato dalla mafia. Parliamo di noi. Delle infiltrazioni non solo possibili ma anche altamente probabili nel nostro territorio.

Il sostituto procuratore della Dia Roberto Pennisi, nei giorni scorsi, l’ha detto con disarmante chiarezza: «Oggi - ha quasi gridato nel corso di un convegno che il questore di Trento ha organizzato nell’auditorium della facoltà di lettere - non è la mafia che cerca l’economia. È l’economia che cerca la criminalità organizzata». Anche da noi?, ho subito chiesto a lui e al procuratore di Trento, Sandro Raimondi. «Sì, anche qui», hanno risposto all’unisono.

Del resto, è l’Unità di informazione finanziaria di Bankitalia a dire che nella nostra regione sono state 1.300 le operazioni sospette (di riciclaggio): con 69 milioni di euro di denaro considerato sporco.

A proposito del Trentino Alto Adige la relazione dell’antimafia relativa al secondo semestre 2018 - come ben ha evidenziato il collega Domenico Sartori - annota che «la diffusione di ricchezza e la possibilità di investimento offerte dal contesto economico-imprenditoriale del territorio costituiscono una potenziale attrattiva per la criminalità organizzata». 

Sono cose che si dicono da tempo. E qualche bel segnale d’allarme era arrivato. Ma vederle scritte nero su bianco fa un certo effetto. A maggior ragione nel momento in cui la Dia - dicendo che l’Alto Adige è una sorta di ponte ideale, tale anche per le attività illecite, verso la Germania - sostiene che «già a partire dagli anni ’70, in Trentino e in Alto Adige è stata rilevata la presenza di elementi malavitosi calabresi affiliati alla ’ndrangheta, per lo più provenienti dalla Locride». Il nostro essere cerniera fra mondi e culture diverse rappresenta dunque anche un perfetto crocevia per quel che riguarda i mercati illegali. Noi tendiamo come sempre a sentirci impermeabili a qualsiasi contaminazione, ma gli inquirenti ci dicono che non siamo l’inscalfibile enclave del Nord: l’economia e la politica non possono più sottovalutarlo.













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