L'editoriale

Ma questo non è un festival

Senza pubblico e senza coraggio. Così il Festival dell'economia non è una festa di popolo ma solo una serie di conferenze online... Eppure le scelte vere erano due: fare il festival con i protocolli covid (presenze ridotte ma pur sempre presenze) oppure non farlo. E gli esempi ci sono...


Paolo Mantovan


Può esistere un Festival senza pubblico? A Trento è in corso di svolgimento una serie di conferenze che viene erroneamente definita “Festival dell’Economia”. Erroneamente perché non c’è Festival senza pubblico. La rassegna si svolge online, le conferenze di premi Nobel, professori, dottori, economisti, politici, protagonisti del pensiero e dell’azione economica nazionale e mondiale sI tengono in teatri vuoti, chiusi al pubblico, e si possono “gustare” silenziosamente su internet. È come se facessero Sanremo senza orchestra con i cantanti che si esibiscono davanti all’Ariston vuoto e muto. Ma che festival sarebbe? Semplice, non sarebbe un festival.

Certo, non si può confrontare Sanremo con il Festival dell’Economia: sono due “prodotti” diversi. Ma in comune hanno il fatto che sono dei festival. Il termine “Festival” in origine stava a indicare una festa popolare, sì, una festa di popolo, di quelle “festive”, di quelle in cui si balla, si partecipa, si fa festa. Poi il termine è stato usato per rassegne di spettacoli o musica, dove sempre c’è la partecipazione del pubblico, c’è la giuria, ci sono applausi e fischi, ci sono i tappeti rossi, c’è l’incontro col pubblico, gli autografi, i selfie, i pomodori o le monetine lanciate. Il Festival dell’Economia, come quello della letteratura o come quello della filosofia, ha raccolto queste tradizioni per creare un ponte col pubblico: una rassegna dal vivo, per fare incontrare gli esperti e i cittadini, per mettere in scena la scienza e darle la vitalità del confronto, per far diventare la riflessione un momento di “festa popolare” e di crescita comune. Se non c’è il pubblico non c’è festival. I soli professori ed esperti non fanno un festival, ma soltanto conferenze. 

Quest’anno il Festival dell’economia non è dunque un festival. C’è l’incubo Covid e così si è pensato di fare tutto senza pubblico. Ma è una cosa senza senso. Era meglio non fare nulla. Che traccia resterà di un festival vuoto? Ci voleva un po’ di coraggio e occorreva scegliere fra due possibilità: fare un festival vero con una presenza ridotta è una perfetta organizzazione dei protocolli Covid oppure non fare nulla. Solo queste due sono scelte serie e coraggiose. 

La prima opzione è stata scelta dal Film Festival della montagna. Presenze ridotte, prenotazioni, ma un festival vero di cinema e anche di incontri dal vivo come con Mauro Corona e Luca Mercalli. Onore al Film Festival di Trento, che ha dovuto rimboccarsi molto le maniche e un po’ rischiare, ma ha tentato di fare fino in fondo ciò che è: il festival. Identica scelta ha fatto Oriente Occidente, che oltre agli spettacoli ha proposto incontri di spessore dinanzi a un pubblico con mascherina e spazi distanziati: ma anche in questo caso si è trattato di un festival vero, con momenti di grande intensità, come l’incontro con Lucio Caracciolo, geopolitologo di prima classe, che ha risposto alle domande del pubblico sul ruolo della Germania o della Russia nel mondo scombinato dal Covid. E Caracciolo era emozionato di tornare a discutere col pubblico dopo mesi, e il pubblico è rimasto nella Sala Filarmonica di Rovereto ben oltre il tempo previsto. Perché di festival c’è bisogno, oggi più di prima. Ma di festival vero c’è bisogno. Con tutte le precauzioni possibili. Ma vero festival. 

La seconda opzione invece è quella di Amadeus. Che pochi giorni fa ha detto: “Non esistono piani B. O sarà un festival di pubblico e orchestra, o non lo faremo. Non riesco a immaginare un Sanremo senza pubblico in sala o senza orchestra”. Ci vuole coraggio anche per non fare nulla. Ma oltre che coraggiosa, questa è anche una scelta onesta. 

Trento invece quest’anno per il Festival dell’economia ha compiuto la scelta più sciagurata. Ha portato a Trento premi Nobel, esperti, giornalisti ed economisti per farli salire sul palco di un teatro vuoto. Faceva impressione vedere il dibattito inaugurale con i protagonisti sul palcoscenico di fronte alla vuota platea del Teatro Sociale. Sembrava un quadro surrealista (oltre che uno spreco). 

Ora occorre capire se ciò è accaduto perché il presidente Fugatti, che certo non ama la direzione scientifica del festival da parte di Tito Boeri, non potendo più fermare la macchina della rassegna che già, dopo il rinvio ad autunno, s’era spesa in inviti e convocazioni di Nobel e ministri, ha preferito spostare tutto online e chiudere al pubblico per mettere la sordina al Festival. Oppure se ciò è accaduto perché non c’è stato il coraggio di allestire un vero evento. 

Sia l’uno o sia l’altro il motivo, è stato comunque un errore. Questo Festival non è un Festival. È un’opera surrealista. Esattamente come la pipa disegnata sulla lavagna da Magritte, sotto la quale campeggia la scritta: “Questa non è una pipa”. Così questo festival senza pubblico non è un festival. 

p.mantovan@giornaletrentino.it













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