MEHRANGARTH, L’ENORME FORTEZZA CHE “PROTEGGE” IL RAJASTHAN
Una montagna costruita a picco sopra un’altra montagna. Appare proprio così la grande fortezza reale che - tanto imponente, quanto irreale - domina Jodhpur in India. Si tratta di Mehrangarth. Sembra essere sbarcati su un altro pianeta, in un mondo extraterrestre.
Siamo invece nel cuore più genuino e remoto Rajasthan. Nell’estremo occidente indiano in quella che è la terra dei cammelli del deserto di Thar e delle tigri dei monti Aravalli. Ma è essenzialmente è quella la terra dei maharaja.
Il Rajasthan è uno strepitoso trionfo di colori e di bellezza. Per chi ci abita è la “terra dei re”, dei nobili rajput che da sempre si ritengono orgogliosamente discendenti del sole, della luna e del fuoco. I rajput sono stati un popolo di fieri e indomiti guerrieri che hanno sempre dato filo da torcere sia ai conquistatori Moghul che, in tempi successivi, anche ai colonialisti inglesi che per domarli hanno dovuto concedere loro ricchezze spropositate. Ma la sfavillante eredità dei rajput e dei maharaja che hanno governato il Rajasthan è oggi visibile a tutti.
La mega fortezza di Mehrangarth ne è oggi una delle testimonianze più evidenti. Già di per sé la sua colossale visione ha dell’incredibile. Ma come hanno costruito le mura dell’enorme palazzo fortezza che domina la città blu (dal colore delle case dei brahmini) in maniera così perfetta da innalzare verso il cielo le inaccessibili pareti verticali della montagna sulla quale è stata edificata Mehrangarth?
Il tutto è figlio del sogno di onnipotenza di uno spietato condottiero rajput, Rao Jodha Ratho re che – ritenendo essere un discendente diretto del sole – volle realizzare a Jodhpur la sua nuova capitale. Mehrangarth, era la capitale del suo regno di Marmar, ovvero della “terra della morte”. In realtà la scelta di Jodhpur era legata al commercio essendo la città un punto obbligato della via che dal Gujarat, sul mare, portava a Dehli. Di lì passavano infatti tutti i traffici più redditizi. Da quello del legno di sandalo, ai datteri, al rame, ma soprattutto dell’oppio, la micidiale e diffusissima droga d’Oriente con il quale Rao Jodha divenne ricchissimo.
La vista e la visita di Mehrangarth è indimenticabile. Salendo a piedi è inevitabile acquistare i nastrini rossi devozionali cari agli indù con la beneaugurante svastica rovesciata (rivolta a destra) cara agli induisti e fiori color arancione da poter portare al sacro tempio di Chamunda Devi dedicato alla dea Durga, colei che risplende, venerata al pari di Shiva, Lakshmi, Visnù e Ganesh. Impressionante è, varcata la Lohpal, l’ultima delle sette porte che sbarrano l’accesso al palazzo, è la lapide cosparsa dai fedeli con polvere rossa che ricorda il sacrificio (sati) delle 30 mogli del maharaja Man Singh, che nel 1843, in segno di lutto per la sua morte, si gettarono tra le fiamme della sua pira funeraria, suicidandosi.
Un contrastante (e stridente) senso si pace e piacere si vive, invece, all’ interno del palazzo-fortezza di Mehrangarth. In realtà si tratta di una serie di palazzi confinanti l’uno all’altro e interconnessi da cortili, passaggi segreti, loggiati e balconi che costituiscono una sorta di labirinto dove le bellezze e lo stupore sono ad ogni angolo, ad ogni finestra, ad ogni soglia. Percorrere le stanze del “Palazzo delle perle”, del “Palazzo dei fiori”, del “Palazzo del piacere” è infatti come percorrere un sentiero che di stupore in stupore, di meraviglia in meraviglia, porta quasi ad uno stato di estasi. Quello che hanno cercato di testimoniare che proprio le raffinatissime miniature indiane dell’epoca moghul. Si tratta di piccole immaginette dipinte con dovizia di particolari che tra pavoni, fontanelle, fiori e coppie di amanti, raccontano della vita “idilliaca” che i maharaja conducevano in quei palazzi-fortezza-carcere, per loro erano invece autentici ed esclusivi angoli di paradiso in terra.