Se Notre Dame è dentro di noi



C'è molto di noi, nella Notre Dame che resiste alle fiamme. E, al contempo, c’è molto di noi anche in quella che non c’è più. Insicurezza e orgoglio, fragilità e determinazione. 

Persino le critiche di questi giorni si possono leggere con questa lente. Ci volevano quelle immagini di una Notre Dame in ginocchio per risvegliare le coscienze (a cominciare da quelle dei signori del lusso che hanno subito promesso sacchi - firmati? - pieni di euro), per colpire al cuore anche ricordi che non sapevamo di avere? Facile, s’è subito detto, salvare Notre Dame e chiudere gli occhi di fronte a tutto il resto: fame, guerre, carestie, il mare trasformato in cimitero poco lontano dalle nostre coste... 

La polemica prevale. Del resto, viviamo nella società dell’odio, del conflitto permanente. Non si guarda più al bello che c’è nel risveglio di anime e portafogli. Meglio dire che si potrebbe fare di più e che i problemi sono sempre altri e sempre altrove. Come se tutto fosse una competizione. Come se tutto - incluse le emozioni - fosse dovuto.

Certo, facciamo i conti con ciò che vediamo: la cattedrale in ginocchio, il simbolo, l’icona. Della Chiesa. Dell’Europa. Di qualcosa che ci appartiene. E fatichiamo a veder ciò che solo all’apparenza è invisibile: il dramma dei migranti, le disparità sociali, l’egoismo, la fretta, la superficialità. Ma Notre Dame ci dice che possiamo farcela. Che la solidarietà esiste ancora. Che le emozioni non colpiscono solo alla pancia, ma anche alla testa. Che dalle ceneri - come del resto a quella chiesa, nei secoli, è più volte successo - si può risorgere. E ripartire. Poco conta che siano le ceneri della nostra vita, del nostro Paese, del Duomo del mondo, della politica o di chissà cos’altro. Si può ricominciare. Senza distinguo. Senza inutili polemiche. Mettendoci anche qualcosa di nostro. Fateci caso: se guardate Notre Dame da davanti, non noterete quasi differenze. Perché siamo abituati ad un unico sguardo. Alla quasi totale assenza di profondità. A guardare ciò che abbiamo davanti senza più chiederci cosa ci sia dietro, dentro, oltre. Quel che resta di Notre Dame ci costringe invece a fermarci, a cambiare prospettiva. Ed è bello leggerci una grande metafora. Si può ricostruire, si può ripartire, si può allontanare lo sguardo dalle macerie per immaginare il futuro. In ogni ambito. Buona Pasqua. Di resurrezione. 













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