Super Mario ora ha bisogno di un governo politico



Il momento è quello sbagliato: per una crisi che non è solo politica, ma strutturale, perché è il sistema nel suo complesso a soffrire. Vuoi per la pandemia. Vuoi, soprattutto, per ciò che la pandemia ha prodotto: in termini economici, sociali, persino psicologici. Nulla sarà più come prima, anche se su più d’uno striscione abbiamo scritto (e sognato) il contrario.

L’uomo è quello giusto. Ed è giusto da sempre, a ben guardare. Un predestinato. Un salvatore della patria. Uno dei pochi italiani con un profilo davvero internazionale, stimato ad ogni latitudine. Non ha mai sbagliato un colpo, nemmeno quando ha dovuto prendere decisioni complicate nello spazio di un attimo. Ha dedicato la vita all’economia - italiana, europea e mondiale -, ma ogni sua scelta è stata, insieme, tecnica e politica. Anche se ha cercato di frequentarlo sempre con austero distacco, conosce dunque bene il pantano nel quale da troppo tempo è scivolato il Paese. Ed è qui che si giocherà la vera sfida di Mario Draghi, nel punto che congiunge due istanze fra loro in apparente contrapposizione: la necessità di far ripartire un Paese (serve davvero un Rinascimento) e quella di farlo cercando di tenere insieme aspetti tecnici, istituzionali e politici. In passato abbiamo avuto governi di professori. Questa volta serve un governo ibrido. Con propulsori diversi, d’alto livello, necessariamente in grado di tenere insieme profili fra loro molto diversi. Senza politica, infatti, non si va avanti. Non solo perché Draghi avrà bisogno del consenso del Parlamento, ma soprattutto perché avrà bisogno del sostegno di un Paese che dalla politica è fortemente influenzato e in parte anche schifato. Gli italiani, si sa, s’innamorano in fretta (l’hanno fatto ad esempio con Berlusconi, con Prodi, con Renzi, con Monti, con Conte...). Ma altrettanto in fretta si stufano. E quando non ne possono più tendono a non distinguere, a mettere tutto insieme. Nel pantano di cui sopra. Che è fatto di dati oggettivi, ma anche di stati d’animo. Un esempio per tutti: di solito governi come quello che sta per nascere hanno fra gli obiettivi le lacrime e il sangue di cui la politica non può occuparsi. Questa volta il governo Draghi dovrà invece fare una grande attenzione ai conti (lacrime e sangue, appunto), ma lavorando sulla speranza, sulla vicinanza, sulla prospettiva, sull’empatia, sul raggio di sole che si fa spazio fra nuvole sin troppo nere. Serve, soprattutto, il coraggio: quello di cui Draghi parla spesso, dicendo che quando si perde il coraggio si perde tutto. L’uomo che s’è ritrovato senza madre e senza padre a 15 anni, dovrà essere padre e madre di un Paese orfano e allarmato. È stato allevato dai gesuiti e da maestri come Caffè e il premio Nobel Modigliani (al Mit di Boston). È un professore (insegnò anche a Trento in anni lontani) che è passato dalla direzione generale del tesoro alla guida della Banca d’Italia (dovendo far dimenticare Fazio) e alla presidenza della Banca centrale europea, dove ha fra l’altro salvato l’euro e più volte più di un pezzo d’Europa. Ha insomma tutte le carte in regola per farcela. Ma la politica lo capirà?













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