TIMGAD, LA POMPEI D’AFRICA AI CONFINI DEL GRANDE DESERTO 



C’era un piccolo francobollo rosso che, tra quelli della piccola collezione filatelica di mio padre, mi aveva colpito e affascinato quando ero ragazzino. Era datato 1930 ed era delle poste algerine. Vi era raffigurato uno arco romano di straordinaria bellezza. Ma non era quello di Costantino di Roma. Ai margini dell’immagine c’era una piccola scritta: Timgad.

Quella figurina – a me, da sempre affascinato dalla cultura mediterranea e da un certo esotismo – aveva subito incuriosito e interessato. Timgad: cos’ è ? E se è, dov’è? Da allora Timgad, l’antica Thimugadis dei romani, era la città che i legionari avevano costruito in Africa ai margini del deserto lungo quello che era il lontano e sperduto limes meridionale dell’impero. Inevitabilmente una “destinazione meraviglia” che non avrei mai potuto (e dovuto) perdere. E così è stato.

Quell’arco raffigurato sul francobollo algerino dei tempi delle colonie era l’arco di Traiano. Fu eretto in suo onore. Traiano fu uno dei più grandi e illuminati imperatori romani (benché spagnolo di nascita) nella seconda metà del secondo secolo dopo Cristo.

La colonia di Thimugadis fu da lui fondata attorno all’anno 100 d.C. per ospitare 15 mila persone, in gran parte ex legionari, che lì avevano trovato le condizioni ideali (ambientali in primis) per vivere in una grande e prospera città. In breve l’antica Timgad crebbe ben oltre i progetti iniziali e divenne bellissima con tanto di arco trionfale, foro, terme, teatro da 4 mila posti, arena, Campidoglio, botteghe e quant’altro. Le ville dei possidenti erano arricchite da pavimenti in mosaico straordinariamente estesi e raffinati quanto belli e preziosi. Timgad, fino alla caduta dell’impero e alla conquista dei Vandali nel V. secolo d.C., era la più importante tra le già splendide città romane di Numidia. Con la sua distruzione e il conseguente oblio, la città venne cancellata. Venne riscoperta per caso a fine Settecento dall’esploratore inglese James Bruce (che cercava le sorgenti del Nilo!) e poi, ad inizio XX secolo, dissepolta dai francesi che vi effettuarono i primi scavi. Oggi la città “perduta” ai limiti del deserto è una dei siti romani meglio conservata tra tutti quelli del nord Africa. Con tanto di cardo e decumano praticamente intatti, con tanto di pietre consunte dal passaggio dei carri, con tanto di latrine pubbliche e banchi del mercato ancora al loro posto e con tanto di museo dove sono conservati i mosaici più preziosi ci fa rivivere tutto quel fascino del “tempo perduto” che, magicamente, potrebbe consentirci di non farci stupire se, all’improvviso, dovessimo incontrare tra quelle rovine aggirarsi ancora un vetusto e fiero centurione della III Legio Augusta testimoniare di una millenaria presenza imperiale in quel remoto lembo d’Africa.

Il colpo d’occhio che il visitatore ha sulla città dagli spalti del teatro è mozzafiato. Una conferma che l’Algeria è oggi il Paese che contende alla stessa nostra Italia il maggior numero di siti e vestigia dell’antico impero romano.

Il raffronto tra l’antica Timgad e la nostra Pompei non si limita però ad un parallelismo limitato all’ estensione urbana delle due città o alla bellezza dei ritrovamenti. Se Pompei è arrivata a noi a svelare i suoi capolavori perché sommersa dalla cenere del Vesuvio, Timgad lo deve alla sabbia del Sahara che la ricoprì per secoli. Proprio come Pompei, nota anche per una certa tolleranza della sua vita quotidiana, lo era anche la grande città perduta ai confini del “hic sunt leones”. Lo testimonia ancora una singolare iscrizione incisa a lettere cubitali sulle pietre del grande foro che sta al centro di Thimugadis: “lavari, ludere, ridere: hoc est vivere”. Una intera filosofia di vita che sintetizza tutta una positiva visione del mondo e che racchiude anche il mio auspicio per affrontare il futuro con la necessaria gioia e leggerezza.















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