Un'idea del senso di comunità



L’Italia si tinge d’un azzurro al quale Napoli s’aggrappa con la forza di un sogno. Fatto di rivincita. Di rinascita. E di quel sentimento variegato che solo il calcio sa donare, rendendo un po’ tutti eterni bambini all’inseguimento di un pallone che profuma di una vittoria che può durare un attimo o trent’anni e più. Il Regno Unito, nelle stesse ore, abbraccia il suo nuovo re. Un uomo che ha atteso ben più dei 33 anni che hanno visto trascorrere i tifosi napoletani, per vincere il suo campionato. Un trono, il suo, che è insieme storia e altro dalla storia, visto - per giocare con le parole - il reale ruolo dei reali. Le celebrazioni di ieri ci parlano però ancora di un estremo bisogno di simboli. Di utopie. Di speranze cariche magari anche di nuove paure, ma sempre proiettate in un tempo indefinito e lontano. Persino magico. A tenere insieme i due luoghi, le due feste e le emozioni così diverse che le attraversano, soprattutto due cose. Il senso di comunità, che può essere locale e universale, perfetto simbolo di una globalizzazione troppo spesso vista solo come nemica. E il senso d’appartenenza, che prevale sulla distanza dall’epicentro di una festa che non a caso si allarga nelle infinite increspature di un oceano di passioni. C’è dunque ancora un collante che supera - per un attimo, per un giorno, per qualche settimana, talvolta per sempre - le divisioni che allontanano, che frammentano, che separano. Anche questa è una lezione che costringe a chiedersi cosa siano oggi, al di là dell’esplosione colorata di piazze lontane e solo all’apparenza diverse, l’appartenenza, la comunità e l’identità. Anche in una Bolzano che per lungo tempo ha avuto due anime: una fieramente italiana, l’altra fieramente tedesca. Mondi incapaci di confrontarsi su un piano di dialogo nuovo e moderno. Universi sempre più fragili di fronte a una realtà composita e multipla che non ha più solo due lingue, due culture e due tradizioni. La dimostrazione arriva dal dibattito sulla scuola bilingue: scuola che in un mondo normale sarebbe addirittura insufficiente e che qui è sempre un progetto irrealizzabile. Illuminante anche il confronto, a Merano, sul centenario di una scuola che non c’è più: già, perché, come noto, il mitico Carducci ora si chiama Gandhi. L’acceso dibattito culturale - quando c’è - ci dice in realtà più di quanto vogliamo capire proprio su quel che resta del senso d’appartenenza, sul senso di comunità. Una comunità multipla, ma sempre meno coesa. 













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