Dopo i disordini post partita a Bolzano

Vecchi e nuovi problemi

La festa si è trasformata in guerriglia. Il caos del dopo Italia-Austria dimostra che ci sono anche nuovi malesseri; che è cambiato il mondo ed è cambiata anche la città


Paolo Mantovan


Prima di Italia-Belgio è il caso di interrogarsi sui disordini di sabato scorso, dopo la vittoria degli azzurri sull’Austria. Intanto perché Bolzano è stata l’unica piazza d’Italia in cui la festa si è trasformata in guerriglia. Poi perché la violenza e le strane saldature fra malesseri che si sono espresse vanno indagate subito. Siamo abituati a vecchi cliché: ma qui c’è qualcosa d’antico e di nuovo.

Che la città di Bolzano sia il luogo in cui la vittoria degli azzurri diventi il pretesto per dare sfogo al malessere era una ipotesi così imprevedibile che anche le forze dell’ordine sono rimaste sorprese. Ma che cosa è successo? Secondo l’identikit della polizia, i “tifosi” che hanno dato vita a uno scontro con l’ «autorità» erano per una parte giovani bolzanini doc, per un’altra parte pure italiani ma figli d’immigrati. Si sono saldati gli sfoghi residui del disagio italiano in terra sudtirolese e il malessere della seconda generazione d’immigrati. L’Italia di Mancini, a questo punto, è chiaro, non c’entra più nulla. 

Da ciò si traggono tre spunti.

Il primo, che è la questione “antica” per Bolzano, è che basta la partita Italia-Austria (si tratta di una partita di calcio, lo sanno tutti, ma per alcuni diventa la rivincita di mille cose, a partire dalle guerre mondiali) per dare spazio a un’euforia che rischia di divenire “sputo” rabbioso. 

Il secondo, che è un elemento nuovo, che ora si manifesta con forza in tante parti del Paese, anzi, del mondo, è che stiamo uscendo da un periodo lunghissimo di “confinamento”, di “isolamento”, di lockdown e di restrizioni. Questa lunga “parentesi”, che potrebbe anche non essere una parentesi ma un cambiamento epocale, ha influito e influisce pesantemente sulla psiche di ciascuno di noi. Sentire che la stretta vien meno, porta a reazioni forti: chi semplicemente uscendo di casa per respirare a pieni polmoni e chi invece dando sfogo ad azioni violente. Diciamo che si tratta del lato “psichiatrico” del covid sulla società

Poi c’è un terzo elemento, ed è la prima volta che si manifesta in modo così evidente (ecco per l’appunto la questione “nuova”), ed è il malessere sempre più profondo fra i “nuovi italiani”, al punto che alcuni tra i più giovani si organizzano e utilizzano la scia “azzurra” per trasformare la festa in una rappresentazione violenta del disagio. Quale disagio? Ce lo ha spiegato senza mezzi termini Ab Chniouli, 24 anni, nato in Italia da genitori di origine marocchina, studente universitario iscritto a Economia a Bolzano ed eletto consigliere comunale nella squadra dell’assessore Angelo Gennaccaro. Intervistato dalla nostra Antonella Mattioli, Ab Chniouli ha risposto: «Premesso che la violenza non può essere mai giustificata e che in piazza, da quanto mi hanno riferito, c’erano anche parecchi italiani, dietro quello che è successo sabato c’è tanta rabbia unita alla difficoltà di farsi accettare davvero fino in fondo nella terra in cui si è nati. Perché non si ha la cittadinanza e perché ,anche quando la si ottiene, il marchio d’origine resta. E così ci sono ragazzini che vedono nelle istituzioni dei nemici. La polizia in particolare. Spesso respirano in casa l’odio per i rappresentanti dello Stato. Dietro certe reazioni violente, ci sono anche strutture familiari fragili. Genitori che non sono in grado di seguire i figli, perché i padri lavorano e sono fuori tutto il giorno; le madri stanno in casa e conoscono magari solo la loro madrelingua».

Le parole di Chniouli la dicono lunga su una situazione che fino ad oggi, probabilmente, è stata sottovalutata. Sottovalutata in Italia e a Bolzano. È chiaro che la violenza non si può accettare, punto. Così come è chiaro che anche la rabbia, secondo il quadro che ci offre Ab Chniouli, non è un sentimento da giustificare in termini “buonisti”. Assolutamente no. Una cosa però si può e si deve fare: occorre cercare di capire di più, non basta dire - come ha detto qualcuno - che ci sono dei maleducati e ignoranti che creano dei problemi; perché così andiamo poco lontano e non risolviamo nulla. Occorre invece cercare di capire in che mondo viviamo e che le “banlieues” esistono a Parigi come a Milano, anzi, come a Bolzano. Ci sono problemi straordinari nel perseguire l’integrazione, a partire da culture che tengono le donne a casa senza far loro imparare la lingua del posto. Ma il problema non riguarda solo le famiglie che vivono questa situazione: il problema riguarda tutta la comunità, tutti noi.

Il vero interrogativo è: perché proprio e solo a Bolzano la festa si è trasformata in guerriglia? Perché questo malessere da “banlieue” è scaturito solo in piazza Vittoria e in corso Libertà, perché? L’unica risposta plausibile che possiamo darci ora, allo stato dei fatti, è che questo territorio, oltre ad essere uno straordinario laboratorio per realizzare modelli avanzati d’autonomia e di convivenza è, nello stesso tempo, un luogo in cui le tensioni fra gruppi linguistici, il brodo culturale dello scontro, del risentimento e del disagio, sono senza dubbio più forti che altrove. Solo così si può dare una prima spiegazione a ciò che è accaduto sabato.

E allora diventa necessario cominciare a guardare Bolzano con occhiali nuovi, con un’attenzione superiore a quella cui ci siamo abituati, cullati nel nostro cliché calcistico di Italia-Austria o Italia-Germania. Il mondo sta cambiando ovunque e sta cambiando ancor di più qui. Perché questo tessuto della convivenza è assolutamente all’avanguardia, ma rimane comunque fragile. 

p.mantovan@altoadige.it

 













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