VOLUBILIS, IL GIOIELLO ROMANO NELLA TERRA DEI… “LEONES”
La strada, fiancheggiata da monumentali piante di agave, attraversa una campagna di oliveti rigogliosi che declinano verso una sconfinata pianura di grano dorato. E’ questo l’idilliaco paesaggio che accompagna chi viaggia verso Volubilis, la più lontana e remota delle città romane in terra …africana. A quei tempi i vessilli del SPQR spaziavano su quella che era la Mauretania Tingitana, la “terra incognita”: l’attuale Marocco.
Volubulis è, oggi come ieri, un inatteso miraggio di bellezza nel cuore di quella che fu una delle terre più ricche tra tutti i possedimenti “clientes”. Le sue origini sono ben anteriori a quelle della presenza delle legioni. Volubilis era, infatti, abitata sin dai tempi del neolitico. Fu anche la città del leggendario re Giuba II che divenne figlio adottivo di Ottaviano. L’imperatore lo fece infatti arrivare a Roma sin da bambino per farlo crescere “romanamente”. Gli impose di sposare Cleopatra Selene, ovvero la figlia della grande Cleopatra e di Marco Antonio. A Giuba e alla sua sposa venne “donata” l’intera provincia romana del regno di Mauretania, quello oltre al quale si estendeva l’inesplorata terra dell’“hic sunt leones”. Giuba II fu un sovrano illuminato e coltissimo. Volubilis fiorì e divenne il centro da cui partiva, in abbondante quantità, il grano per Roma. Ma anche l’olio, il prezioso “combustibile” per le lucerne. E da Volubilis partivano anche (per le arene di tutto l’impero) i leoni e i leopardi da esibire durante le sfide con i gladiatori. I monumentali “Leoni dell’Atlante” erano i più grandi, massicci e feroci leoni tra tutte specie di “leo” africani. Il leone berbero era infatti un animale caratterizzato da una criniera imponente e vantava una stazza di ben 3 quintali con una lunghezza di tre metri e mezzo. Si tratta dei leoni che il grande pittore francese Eugene Delacroix dipinse immortalandoli nei suoi dipinti “esotici” e che oggi sono estinti. Si racconta che l’ultimo esemplare di Leone dell’Atlante fu abbattuto dai cacciatori di trofei negli anni ’50.
A testimoniare la grande ricchezza che per oltre due secoli contraddistinse la vita della Volubilis romana sono molto visibili i resti dei mosaici che abbellivano e impreziosivano i pavimenti delle case dei patrizi e dei grandi commercianti che vi dimoravano. Testimonianze straordinarie che hanno resistito sia all’arrivo e alla conquista degli islamici (dal 685 d.C.) che alle distruzioni dei non sporadici terremoti che colpiscono quelle zone quale quello devastante del 1755. Le rovine di Volubilis sono una “scoperta relativamente recente. Si racconta che, verso la fine del Settecento, un ambasciatore-avventuriero e spione inglese di nome John Windus fosse il primo “occidentale” ad arrivare tra le rovine di questa città dimenticata.
Oggi l’ampia area archeologica di Volubilis – sito patrimonio dell’Umanità dell’Unesco - è uno dei luoghi di maggiore interesse culturale dell’intero Marocco. Si trova a due passi da Meknes ed è un sito di straordinaria suggestione. Lo è in particolare al tramonto. Ma è al mattino presto, all’apertura dei cancelli, che Volubilis svela tutta la sua anima. Non c’è mai nessuno e così si può percorrere l’intero decumano in assoluta solitudine, passare lentamente sotto l’arco di Costantino con lo sguardo rivolto all’infinito, sostare al centro del foro ammirando le ultime colonne ancora rimaste intatte e in cima alle quali nidificano le cicogne. E si possono ammirare, ammutoliti da tanta bellezza, i raffinatissimi e preziosi mosaici delle antiche dimore. A tale proposito un’annotazione a margine: la furia iconoclasta e puritana dell’islam più fanatico ha mirabilmente sempre risparmiato tutte le voluttuose nudità della Veneri e delle ninfe mirabilmente raffigurate in quei capolavori dei conquistatori romani. Grazie magica Volubilis, là dove c’erano solo i …leones!