Alto Adige, negli uffici della Provincia solo il 20% di smart working
«Lo smart working non è un alternativa al Green pass, non si ottiene perché non ci si vuol vaccinare o tamponare» dice il direttore generale Alexander Steiner
BOLZANO. Se in Provincia nei primi mesi di pandemia il monte delle ore lavorate in smart working era arrivato al 70% del totale, ora siamo scesi al 20%, una quota che la Provincia intenderebbe mantenere anche pro futuro.
Si punta però a un sistema misto ufficio-casa e attualmente i casi di dipendenti totalmente in smart working da casa si contano sulle dita di una mano, soltanto per motivi serissimi e a tempo determinato: malattie gravi in famiglia, lutti.
«Lo smart working non è un’alternativa al Green Pass», chiosa laconico il direttore generale della Provincia Alexander Steiner. «Chi non vuole vaccinarsi o non vuole sottoporsi ai tamponi, non otterrà per questo il lavoro agile, che non è un diritto, ma un accordo fra singolo e dirigente d’ufficio».
Attualmente, precisa Steiner, «noi ci stiamo avviando verso un utilizzo meno emergenziale di questo strumento, e questo è testimoniato da una diminuzione costante delle giornate lavorate in smart working. A marzo-aprile dell’anno scorso eravamo addirittura al 70%, adesso invece siamo al 20% (il 20% delle ore prestate, sul full time, è una giornata alla settimana su cinque, ndr).
Questo anche per via dell'ultima circolare mia di riferimento, di inizio maggio: tutti i servizi di nuovo devono essere erogati anche in presenza, in forma fisica, tutti gli sportelli sono di nuovo aperti. Insomma, siamo ritornati alla normalità. Prima c’era chiuso qualcosa, qualcosa era aperto, da febbraio-marzo si era iniziato a tornare in modalità ordinaria».
Steiner prosegue: «Siamo entrati a regime, pro futuro questa sarà più o meno la percentuale sulla quale ci si assesterà, come ulteriore modalità di erogazione dei servizi. Stiamo sempre parlando di una media su tutte le ore prestate da tutti i dipendenti provinciali. Ci sono uffici dove c’è uno che fa tre giorni su cinque a casa, altri dove non ce n’è nessuno».
Ora il ministro Brunetta, con un contratto nazionale di smart working nella Pa, punta al 15%, Bolzano come si regolerà? «Da sempre rivendichiamo la competenza sull'organizzazione del personale; questo è il caso classico su come si organizza il personale. Noi abbiamo competenza primaria anche nella contrattazione collettiva primaria e già a dicembre 2020 abbiamo fatto il contratto per smart worker.
Noi siamo già pronti. All'epoca non si sapeva che lo stato emergenziale si sarebbe protratto tanto in avanti. Noi crediamo in questa modalità ulteriore di prestazione di servizi, perché ci rende attrattivi, e ci sono margini di maggiore efficienza per questo strumento che va a favore del cittadino e del dipendente stesso per la conciliazione famiglia-lavoro. All’inizio abbiamo subito puntato sullo smart working, non per venire incontro ai collaboratori, ma per garantire continuità dei servizi. Poi abbiamo capito che con questa modalità a regime possiamo anche venire incontro ai collaboratori. Ci siamo assestati sul 20%, ma non avremmo nessun problema a scendere al 15%».
La Provincia è però contraria al 15% per tutti. «Qui si deve valutare situazione per situazione, tipo di personale, ufficio per ufficio». E poi «non c’è il diritto allo smart working: ogni dirigente fa un accordo individuale col collaboratore sulla base di compiti e mansioni, sempre se il tutto è compatibile con il servizio al cittadino».
Se poi in un ufficio si mettono d’accordo in tre per fare a rotazione un giorno di smart working, «nulla osta, se possiamo venire incontro lo facciamo. Però occorre contemperare tutti gli interessi e non c'è formula unica valida per tutti, ogni posizione va guardata individualmente». E c'è pure chi non potrà usufruire del lavoro agile, mentre chi lavora su progetto due o tre giorni da casa potrà farlo.
La Provincia vuole anche dare un segnale: «Ridurre la mobilità nell’ottica di diventare attraenti come datori di lavoro. Se da Brunico o Silandro devi scendere a Bolzano, ti possiamo venire incontro: uno o due giorni puoi lavorare da casa».
Sempre in tale ottica il presidente Kompatscher ha portato un promemoria in giunta per rafforzare la dislocazione dei posti di lavoro in periferia, con la creazione di coworking spaces, uffici multifunzionali usabili da vari dipendenti, per esempio nelle stazioni dei corpi forestali. Abbiamo un sistema capillare di sedi periferiche, in Venosta, in Pusteria».
Il mondo del lavoro è cambiato, «ora ci sono le tecnologie. In passato ci si era molto organizzati in maniera centrale su Bolzano, ma se posso lavorare da Merano evitando due ore al giorno di treno...» Così si riducono la pressione sui mezzi pubblici e il traffico sulle strade, il tutto in un’ottica di sostenibilità. Tornando allo smart working, la Provincia esprime un’idea molto chiara: «Lo smart working non è un'alternativa al Green Pass. Il che non vuol dire che uno che non è vaccinato non può fare lo smart working».
Insomma, «se qualcuno vuole, può fare lo smart working, ma il tutto è collegato ad altri fattori, al tipo di mansione, e solo se è compatibile con il genere di servizio da erogare al pubblico. Se poi uno è già in smart working, non è vaccinato e si risparmia i tamponi, questo ci può ben stare. Il ragionamento per cui uno riceve lo smart working però non è quello di dire “adesso evitiamo il Green Pass” e per quel motivo tutti quelli che non si vogliono fare il Green Pass ricevono la possibilità di stare a casa cinque giorni su cinque. Questo di sicuro no».