Addio all’architetto Carlo Azzolini Una vita di professione e impegno
Il lutto. Si è spento a 71 anni dopo una lotta strenua contro il Covid. È stato presidente dell’Ordine, ai vertici della Fondazione architettura. Autore di progetti a Bolzano e nel territorio. Partecipò alle commissioni per Areale e piani urbanistici. Impegnato in politica con il Pd
Bolzano. Carlo Azzolini era un architetto. È morto dopo una lotta disperata di settimane contro questo virus maledetto. L'ha affrontato, finchè ha potuto, con quel suo viso da guascone impenitente che sembrava dovesse vivere la vita come un'eterna sfida contro il brutto delle cose. Ecco, ogni tanto capita di incontrare architetti che amano soprattutto quello che costruiscono e non alzano gli occhi sul resto: Carlo Azzolini amava l’architettura e le architetture perché sono in grado di garantirci il bello e di farlo con la certezza di una buona dose di immortalità.
E c’è una questione precisa che lo riguarda e che spesso è scivolata via in penombra.
Ed è la passione per la storia e le identità costruttive di questa terra . «A noi architetti altoatesini ma italiani, Carlo ha fatto comprendere in che modo diminuire le distanze tra la nostra formazione, di persone magari nate altrove o provenienti da famiglie non autoctone, e il contesto. Come lo ha fatto? Con la cultura. Con la sua cultura. Conosceva tutto, ogni angolo costruito di queste valli», dice Carlo Calderan che ha sostituito Azzolini alla “Fondazione architettura”. E questo percorso alla ricerca di una identità di cui afferrare il senso anche interiore della tradizione, Azzolini lo ha mostrato soprattutto con i suoi progetti nelle periferie, a Funes, a Luson, tra scuole di valle e case di paese. La stessa curiosa attenzione colta che metteva per Bolzano. Una delle ultime volte che ha guidato uno dei suoi tour pubblici alla riscoperta del nostro passato, ha guardato agli archi di Piacentini come se li vedesse per la prima volta invece che per la millesima. Con lo stesso sguardo estatico di uno studente che ammira una proporzione, un taglio di luce mai colto prima e che improvvisamente si svela e rivela l’idea sottesa di un altro come lui, di un altro architetto. È infatti stata la mediazione, professionale e politica, l’altro aspetto della vita di Azzolini. Lo racconta Ute Oberrauch, che sta nel cda della Fondazione: «Era un intermediario. Un viaggiatore tra identità anche contrapposte dalla storia, che qui è fatta anche di conflitti. C'è sempre una via per coniugare formazioni linguistiche e accademiche diverse, ecco lui era un porto sicuro per ambedue».
Un manifesto? L’ultima sua mostra, alla Galleria Civica: «Soldati, turisti e viaggiatori». Lungo il Brennero dal 1850, sull’asse della ferrovia asburgica. Solo Azzolini, probabilmente, poteva ricordare ogni cosa, mettere le mani su piante ingiallite recuperate chissà dove scritte in bel gotico e raccontarle in due lingue. È stato presidente dell’Ordine (dal 1982 all’84), della Fondazione architettura, editor di Turris Babel, la rivista dei progettisti altoatesini.
Alberto Winterle, che è oggi al suo posto a capo dell’Ordine e ha collaborato con lui all'ultima mostra dedicandogli un numero speciale di "Turris Babel", è quasi sopraffatto dall’emozione: «Lavorare con lui significava risolvere ogni dubbio, sulla storia, l’urbanistica, sulle infinite trasformazioni del territorio. Una bella persona, ecco cos'era...». Azzolini non ha lasciato rivali, ha lasciato amici.
Le due passioni.
Aveva due passioni: il suo lavoro e il tennis. E ambedue praticava con la stessa eleganza. Al circolo di Gries, di cui è stato a lungo presidente e tecnico, non c'è nessuno che non ricordi con che faccia da schiaffi eseguiva il suo rovescio "choppato", da sopra a sotto, irridente e lento come una piuma ma profondo come uno sberleffo. Sempre e solo a una mano, non sia mai. Claudio Lucchin, il progettista del "Noi" è un fiume di rabbia sorda: «Lui no - dice ad alta voce - non Carlo. Non uno che amava così la vita. E poi ce l’ho col Covid con chi ci lavora intorno, con chi nega, con chi se la ride. Con questa morte che sembra non dia tregua, anche nei nostri ospedali tutti così lucidi...».
La visione dell’architettura.
Azzolini aveva una visione larga dell’architettura. Come Silvano Bassetti, a cui lo ha legato un’amicizia anche professionale profonda. E col quale ha condiviso la scelta politica (è stato molto attivo all'interno del Pd) e la passione per una modo di farla, la politica stessa, legata ai bisogni, all'inclusione, a una pulizia delle architetture capace di cambiare in bello la vita dei cittadini ma dentro una visione complessiva delle cose, non limitata al costruito ma legata ad una politica civile coerente. Fino ad essere indicato per molti incarichi istituzionali legati alla trasformazione e alla gestione urbanistica della città e del suo territorio. Dalla partecipazione, in quota Comune, alla commissione per l’Areale a quella per il nuovo ponte Talvera, dal progetto scientifico per il museo delle Semirurali al documento preliminare per il Puc bolzanino, agli innumerevoli incarichi nel territorio. Suoi i progetti della scuola di Silandro, il centro culturale di Naz, la materna di Ortisei, la risistemazione di piazza Domenicani a Bolzano, il centro professionale Einaudi, il nuovo stadio del ghiaccio di Ortisei, il piano di attuazione di Casanova, la materna di Laives, la Claudiana, l’istituto Retia, gli studentati del San Maurizio, il centro di Tires risistemato, il poligono di Caldaro, lo stesso Ct Bolzano. Era nato a Vipiteno Carlo Azzolini, il 15 dicembre del 1948. Tra poco, dunque avrebbe festeggiato il suo compleanno. Si era laureato all’università di Venezia discutendo con Giancarlo De Carlo una tesi su «Ipotesi di strutture universitarie a Padova». Per poi lavorare a Bolzano con Klaus Kompatscher dal 1974.
Lascia, amatissime e vicine a lui fino alla fine, la moglie Alessandra e Ilaria e Giulia, ambedue di 19 anni. Alessandra ha scritto, nell’ultimo saluto: «Vorrei sapere a che cosa è servito/ vivere, amare e soffrire/ Spendere tutti i tuoi giorni passati/ se così presto hai dovuto partire». Il suo Guccini.