Alex, da Oltrisarco a pilota di Airbus “congelato” dal Covid
Il sogno realizzato. Il giovane bolzanino ha frequentato l’Accademia di volo di Oxford
Bolzano. Alex Appoloni è un ragazzo bolzanino cresciuto a Oltrisarco. Sta per compiere 22 anni, ma è a 12 che ha avuto inizio il suo sogno: quello di pilotare un aereo. Un desiderio che hanno diversi ragazzini, ma che in pochi portano a termine. Ora può dire di averlo realizzato. È finalmente un pilota. Coronavirus permettendo, può finalmente iniziare il suo vero viaggio, quello su un Airbus A320: pronti al decollo.
Con l’entusiasmo negli occhi e nella voce, seduto su una panchina di Parco Mignone, Appoloni comincia a raccontare: «Quando è nato il mio sogno di diventare un pilota, ero un bambino. Era il 2010. Appena messo piede su un aereo per la prima volta, neanche decollati, ho detto: da grande voglio fare questo. Ricordo che era enorme, da 400 posti. Pensai: questo voglio pilotarlo io».
Tra le scuole medie e i primi anni di superiori, la passione diventa per lui un obiettivo concreto. Trascorre la quarta a Brighton per migliorare l’inglese e poi comincia un lungo percorso per accedere all’accademia di volo. «Innanzi tutto, ho dovuto fare la visita dell’aeronautica militare italiana. Poi – spiega – dovevo fare test e questionari psicologici. Tu entri in questa stanza, ti siedi e devi rispondere a delle domande al computer, molto particolari, e non sai quante siano. Alla fine, erano 900, e a intervalli di cento venivano ripetute, per vedere se rispondessi allo stesso modo. Ci ho messo tre ore per finire il test. Che era fatto apposta per vedere le tue reazioni. Difatti, altri due ragazzi che dopo più o meno 700 domande hanno sbuffato, non l’hanno passato. Ma la cosa più strana non era il questionario!».
Con un tono ancora sorpreso per i ricordi che riaffiorano, Appoloni continua: «Mi hanno fatto sdraiare su un letto, mi hanno messo dei tubi nelle orecchie e mi hanno messo una lampada a dieci centimetri dalla faccia. Mi hanno detto: “Adesso accendiamo la lampada e facciamo scorrere l’acqua nei tubi. Tu non devi sbattere le palpebre per un minuto”. Al primo tentativo non ci sono riuscito. Devi concentrarti, e alla fine ti senti gli occhi che vanno a fuoco».
Poi i test in accademia. «Matematica, fisica, psicoattitudinali…». Li descrive, per niente facili. Passati questi, c’era il colloquio con la compagnia aerea e con i dirigenti della scuola: «L’ho fatto con easyJet, perché quindi avrei avuto il posto assicurato finita l’accademia» racconta.
E infine tre anni a Oxford, alla CAE Oxford Aviation Academy, di cui racconta: «Dovevano essere due anni e mezzo, ma c’è stato il Covid». I primi sei mesi solo di teoria: «Lezioni frontali da scuole superiori e quattordici esami. È stata parecchio tosta: mi alzavo alle sei e mezza, alle otto iniziava la lezione e finivo alle quattro di pomeriggio, con una pausa pranzo nel mezzo. Pausa in cui, tra l’altro, ripetevamo. E poi direttamente in biblioteca, fino alle nove di sera. Tutti i giorni così. Sabato e domenica dalle otto di mattina alle nove di sera a scuola a studiare. Sei mesi così: un inferno, credo che sia stato il periodo più duro della mia vita!».
Dopo la teoria, la pratica… «Superati tutti questi esami, c’era la parte di volo. Sono andato negli Stati Uniti, a Phoenix, dove ho fatto il primo volo e una quarantina di ore in aereo. Dopo un po’ anche da solo, sopra al deserto dell’Arizona, vicino al Gran Canyon… Era bellissimo, ma stressante, anche perché i voli erano sempre a ore diverse. A volte di notte. E sapevo l’orario effettivo della partenza solo la sera prima. Poi sono tornato a Oxford, dove ho fatto altre trenta ore di volo su un aereo più grande e poi dieci su un Piper Seneca da 5 o 6 posti, molto potente. Infine sugli Airbus della classe A320. Sempre a orari strani. Tutta la formazione era basata sull’interazione, sul lavoro di coppia: l'intesa è fondamentale».
Conseguito il titolo il 23 settembre, adesso, come per tutti, la situazione è per Alex molto incerta: «A easyJet hanno messo tutti i piloti in cassa integrazione e ne stanno richiamando vari, ma io ero nuovo… Avrei dovuto iniziare a lavorare per loro a marzo. Ho fatto dei corsi la settimana prima, in Arizona - racconta -, ma Trump ha bloccato i voli fino a fine maggio, e il 20 marzo easyJet mi ha sospeso il contratto. Sono riuscito a tornare qua a giugno, facendo un volo tremendo. Ero giù di morale, perché lavori e studi come una bestia per anni e poi ti si cancella tutto per colpa del virus… È stata una bastonata, anche perché non è successo tutto mesi prima, ma giorni. Ora spero in bene: che mi chiamino. Sono nella stessa situazione di altre duemila persone in Europa e di tutte le compagnie aeree del mondo».
Il prossimo passo, per Appoloni, è solo attendere la chiamata, sapendo che in quel caso la sua base sarà Malpensa. Ancora con il cassetto pieno di sogni: «Credo che tutti i piloti abbiano quello di diventare comandante, o esaminatore, o capo della compagnia aerea» dice, prima di raccontare della sua ultima avventura, un test su simulatore: «Suona l’allarme: il motore 2 ha preso fuoco. Devo azionare gli estintori, o potrebbe bruciare l’ala. Quindi non seguo più ciò che mi dice la torre di controllo. Ma mentre sto forzando lo spegnimento del motore 2, si spegne il motore 1, senza che il sistema dell’aereo me lo segnali: vedo solo la scia che sta sparendo. A quel punto, anche se sta andando a fuoco, devo mettere al massimo la potenza del motore in fiamme, che dà ancora spinta, e atterrare su qualunque superficie possibile. L'alternativa sarebbe rimanere per aria senza poter far nulla, se non buttarsi giù». Scelta giusta, equipaggio salvo, simulazione superata.