«Alto Adige addio, impossibile  qui fare il medico a partita Iva» 

La libera professione in ospedale. Parla un’anestesista di 43 anni: «Sono libera professionista, non mi sono mai sentita una precaria ed ho scelto di lasciare l’Alto Adige dove è diventato impossibile lavorare con contratto d’opera» 


Valeria Frangipane


Bolzano. «Sono libera professionista, non mi sono mai sentita una precaria ed ho scelto di lasciare l’Alto Adige dove è diventato impossibile lavorare a partita Iva. Sui contratti d’opera c’è ancora troppa incertezza -ma alla fine sono stati prolungati da 3 a 5 anni o no? - e certi sindacati cavalcano posizioni che non mi rappresentano. Così a malincuore vi saluto». Alessia Bianchini, 43 anni, ferrarese, anestesista rianimatrice, ha deciso di lasciare l’ospedale di Merano dove lavora dal 2016 per andare in Veneto. «Qui, tutto bello ma estremamente complicato... non è più aria. Mi sono laureata in Medicina a Ferrara, specializzata tra Modena e Bruxelles, dove sono rimasta lavorando all’Erasme, l’ospedale accademico universitario. Dopo l’ attentato terroristico a matrice fondamentalista del 22 marzo 2016, sono rientrata in Italia con la famiglia. L’ospedale dove lavoravo è centrale ed è lì che sono arrivate le prime vittime ed i feriti. Una mia collega spagnola, stessa mia età stessa scelta di vita, quel giorno ha perso 2 figli. Non potevo più restare, troppa paura. Mio marito ed io abbiamo scelto il Trentino Alto-Adige che abbiamo sempre considerato innovativo e interessante». É così che nel 2016 Alessia Bianchini firma un contratto d’opera ed inizia a lavorare presso il Servizio di Anestesia e Rianimazione del Tappeiner di Merano. «In corsia mi sono sempre trovata molto bene, la realtà di qui mi assomiglia, si discosta da quella italiana, è più nordica ed europea, insomma ha sempre fatto per me. Purtroppo però nei mesi ho dovuto ricredermi perchè lavorare in Alto Adige con un contratto da libero-professionista è diventata questione delicata e complicata. Anche se continuo a non capire perchè. È per questo che ho scelto di puntare sul Veneto dove al contrario siamo ben accolti». Bianchini spiega che altrove - sia nel resto d’Italia che nel resto d’Europa - lavorare come Lp (libero professionista) non è un grosso problema. Anzi gli Lp sono i nuovi professionisti – specie anestesisti – che svolgono la loro funzione in ospedali dove prima lavoravano anche come dipendenti. Specialisti che devono organizzarsi il lavoro ogni mese ma che possono essere occupati quando e quanto vogliono, scegliendo altresì di non fare turni di reperibilità, di non lavorare il finesettimana o la notte a fronte di riconoscimenti economici interessanti. In Alto Adige tutto questo - continua - viene messo costantemente in discussione. Così ho deciso di andarmene da qui ma i politici dovrebbero ascoltarci. Per questo ancora mesi fa ho scritto loro una lettera».

Ne riportiamo sinteticamente alcuni passi. «Vorrei che i politici capissero che i medici che lavorano come liberi professionisti non sono certo precari, gente che vaga in cerca di lavoro, sono liberi lavoratori che la professione la conoscono, la svolgono bene e se la scelgono. Non hanno interessi di carriera, non aspirano al posto fisso alla Checco Zalone - ve lo ricordate l’indimenticabile “Quo vadis?”. Sono una risorsa in più insieme ai lavoratori dipendenti (i medici assunti) e alle società che forniscono servizi medici che tuttora esistono nel panorama professionale sia pubblico che privato. Tutto questo esiste in tutta Europa – lo posso dire con certezza – ed esiste anche in Italia senza vincoli di tempo. In Alto Adige però è un tira e molla continuo ed un professionista deve sapere se può restare o meno, se il contratto gli verrà rinnovato, se deve andare via. Ma si è passati da 3 a 5 anni o no? Mah non è dato di sapere. Suggerirei quindi all’Alto Adige di rendersi conto che il resto d’Europa ed il resto d’Italia viaggiano ad altre velocità, per cui dovrebbero abbracciare senza problemi i libero professionisti, non ostacolare una mansione che permette all’ospedale di offrire ai cittadini servizi altrimenti impossibili. Perchè non c’è gente. Siamo risorse in più da non perseguire, ma vista la cronica carenza di medici, da rispettare anche di più». Quindi si pone la questione bilinguismo. «Credo che sia doveroso e intelligente che un professionista conosca i modi e il tipo di comunicazione locale per non creare disagio ai colleghi ed agli assistiti. Non chiedetemi come fare per far sì che i medici imparino la lingua - la questione vale anche per un tedesco che non sa l’italiano - ma non credo che porre vincoli di tempo sia la soluzione migliore in quanto il ritmo della società attuale... sfugge al tempo». Il tedesco per lei era un problema? «No, non mi hanno mai imposto di impararlo. Non era nel contratto. Ma ho comunque frequentato i corsi».













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