Cultura

Bolzano, chiude la libreria Cappelli: «Conti in rosso, finita un’epoca» 

La famiglia Stefani lascia: «Cerchiamo qualcuno che voglia subentrare ma sarà molto difficile, il mondo ormai è cambiato. Abbiamo cercato di contenere i costi ma non è bastato». Preoccupazione per i sei dipendenti


Paolo Campostrini


BOLZANO. «Basta, chiudo. E non è che ci ho pensato stamattina... Sono anni che spendo, investo, spero. Ma è come gettare in un buco nero».

Stefano Stefani dice questo con la voce di chi vorrebbe essere altrove, non stare qui a fare i conti. Ma li fa e ammette: «Se non arriva qualcuno a rilevare, se non cambia nulla, ecco, a fine anno stop, giù la serranda». Per capire meglio cosa significa questo per Bolzano, basta sostituire Stefani con Cappelli. Lui e suo papà Lino, da cinquant’anni e più a questa parte non hanno messo in piedi e fatto vivere solo una libreria. Non è un negozio, “Cappelli”, è un pezzo di città, un luogo mentale di tutti noi.

«Ci vediamo da Cappelli», era un appuntamento, Lo è ancora. «Dove è successo? Ah sotto i portici di Cappelli..», era una indicazione cui non serviva il satellitare. I libri per la scuola si compravano lì. Lo si faceva da prima che scomparissero le Longon, le Pascoli di città e tutto il resto. La libreria era apparsa nel 1938. C’era di mezzo una casa editrice importante, la Cappelli di Bologna. Uno degli editori, Danilo Cappelli, mette in piedi in corso Libertà anche un negozio di cancelleria. Uno dei suoi commessi è Lino Stefani e sarà lui, alla morte di Cappelli, negli anni Ottanta, a rilevare attività a marchio. Poi arriverà Stefano, il figlio di Lino. Ci hanno messo l'anima.

Cappelli si era estesa lungo tutto il fronte del palazzo Inps, in piazza Vittoria. Si iniziava all’angolo di corso Libertà e poi, di vetrina in vetrina, si arrivava senza accorgersene in via Battisti. Gli espositori per i grandi libri di viaggio, all’inizio, poi quelli locali, lo spazio più in la per le novità, i vincitori del Campiello e dello Strega, poi le agende, le penne, la carta...

Stefano Stefani, il portico era tutto Cappelli, no?

Fino a poco tempo fa si partiva con i libri e poi si proseguiva con la cancelleria di Buffetti e ancora oltre, quasi alla fine, la copisteria.

Bene no?

Non so. Temo che ci fossimo estesi un po' troppo. Che si fosse investito eccessivamente. Certo, lo dico alla luce dei fatti di questi anni.

Perché, cosa è accaduto?

Che è cambiato il mondo.

Colpa della pandemia?

Quella ha contribuito. Ma non solo. Col Covid la gente ha iniziato ad ordinare i volumi su internet. Ma l’esplosione dell'e-commerce era già iniziata. Era nell’aria da tempo.

E voi?

Per questo ho iniziato a diversificare. Ma poi anche a provare a ridurre i costi. È la ragione per la quale ci siamo ristretti. Prima via qualche vetrina, poi il restringimento delle attività, con la soluzione di disporre Buffetti a piano terra e la libreria in quello superiore. Ma non è bastato.

Si legge meno?

Si legge diversamente. Le librerie sono luoghi particolari. Si dovrebbe cambiare tutto, renderli posti digitali. Ma si deve cominciare daccapo.

E lei?

Ho speso il possibile. Ma il fatturato scendeva ogni anno di più. In questi mesi stava arrivando a livelli ingestibili. Per questo mi sono detto: è arrivato il momento.

C’è ancora qualche speranza?

Se sono da solo no.

Che vuol dire?

Che vedrei bene se arrivasse qualche gruppo o una famiglia che rilevasse la mia attività. Sono qui, aspetto proposte. Una telefonata. Sarebbe bello che Cappelli proseguisse ma non spendendo quello che ho speso, senza più margini di profitto.

Chi immagina potrebbe farcela?

Una famiglia. Così si abbatterebbero tanti costi. E, in ogni caso, si potrebbe rilevare anche il mio personale. Ci terrei.

Quanti siete?

Tre dipendenti al 50 per cento e tre pieni. In tutto sei persone che hanno lavorato tanto qui. Ho parlato loro, sanno tutto. Sanno anche che non si può continuare così.

Siete in affitto?

Sì. Questo è un palazzo Inps.

Troppo caro?

Ma neanche, Sotto i tremila al mese. Non è questo il punto. Il punto è che ci vorrebbe qualcuno che iniziasse a fare forti ordinativi. Un istituto, le scuole. Ma con le vendite di questi anni è un suicidio.

Altre soluzioni possibili?

Che l’ente proprietario vendesse l’immobile. Si potrebbe così rilevare attività e muri e poi iniziare ad investire con prospettive diverse. Ma è solo un ragionamento. La realtà sono i conti. E da quelli non posso più scappare. Mi fermo.

Cosa avrebbe fatto suo papà?

Beh, sono comunque contento che papà Lino non abbia visto i bilanci di oggi. Certo, lui, immagino, sarebbe affondato con la nave... Ma le questioni non si risolvono sempre così, serve realismo. E oggi il mondo non è più quello di allora.













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