Il processo

Donna morta di polmonite, condannata la dottoressa 

Un anno e 6 mesi al medico di base che non riconobbe l’infiammazione killer. A morire il 31 gennaio 2018 una donna di 45 anni, madre di due bimbi. Assolta la guardia medica



BOLZANO. Un anno e sei mesi di reclusione, con sospensione della pena. Questa la pena comminata dal giudice Emilio Schönsberg ad una dottoressa, medico di famiglia, accusata di omicidio colposo per la morte, nella notte tra il 30 e il 31 gennaio del 2018, di una donna bolzanina di 45 anni, sposata e madre di due bambini. La professionista, che lavora in convenzione con l’Azienda sanitaria altoatesina, non sarebbe stata in grado di diagnosticare in tempo la malattia dalla quale la paziente avrebbe potuto guarire con una semplice cura antibiotica. La dottoressa, insomma, era accusata di non essere riuscita, nonostante due visite cui la vittima venne sottoposta nella fase iniziale e finale della patologia, a riconoscere la malattia indicando alla paziente che era stata colpita da un generico attacco influenzale. Non era così, purtroppo.

A dirlo in maniera inconfutabile anche gli elementi emersi in fase peritale che hanno rivelato come i primi giorni di febbre alta furono gestiti solo con prescrizioni generiche antifebbrili fornite telefonicamente. Non solo. Pochi giorni prima della tragedia, quando la paziente avrebbe potuto ancora essere salvata, rimase inevasa anche una drammatica richiesta di aiuto avanzata dal marito della vittima alla guardia medica che prese atto della situazione e avrebbe fornito una valutazione rassicurante sulla base della diagnosi del medico di famiglia.

In quell’occasione, la guardia medica si era limitata ad invitare l’uomo, comprensibilmente molto preoccupato, a rivolgersi al medico di base nei giorni successivi nel caso in cui fosse rimasta la febbre alta. Risultato: la dottoressa visitò fisicamente la paziente circa 18 ore prima del decesso, fornendo ancora una volta una diagnosi completamente errata, annunciando cioè che la polmonite stava guarendo, quando in realtà la paziente era entrata in uno stadio terminale.

Agli atti del processo c’è anche il testo di un messaggio sms che la vittima stessa, dopo la seconda visita, inviò al fratello segnalando l’ulteriore diagnosi: «polmoni liberi, no antibiotico». La realtà era ben diversa e le condizioni della donna peggiorarono rapidamente, portandola alla morte. Alle 4 della mattina del 31 gennaio il marito si rese conto che la moglie non riusciva più a respirare, chiese l’intervento urgente di un’ambulanza e fece trasferire d’urgenza la consorte all’ospedale San Maurizio. La situazione, però, è ormai irreversibile e il decesso subentra due ore dopo.

Per il suo ruolo in questa ultima fase della tragica vicenda, sul banco degli imputati era finita anche la guardia medica, che però è stata assolta.













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