Gli 83 anni di Grai «La mia vita nel vino? Questione di naso»

E’ uno degli enologi più bravi del mondo. Una carriera tra Sinatra, le auto e - oggi - l’Esselunga. «Sono nato all’hotel Roma di via Marconi»


di Fabio Zamboni


BOLZANO. Le riviste specializzate lo definiscono “uno dei migliori nasi al mondo”, altri al naso accostano anche il palato, perché il bolzanino Giorgio Grai è stato _ oltre che un enologo di fama internazionale _ anche un rinomatissimo ristoratore cresciuto al fianco dei più celebri chef europei. La sua è una storia da bestseller, mica da intervista usa e getta, ma i suoi 83 anni compiuti l’11 giugno e magnificamente portati meritano un tempestivo brindisi su queste pagine. Lo incontriamo all’Hotel Città, su quella piazza Walther dove è stato per decenni il maestro di cerimonie dello storico Edi Bar.

Caro Grai, qual è il segreto di invecchiare bene, come i vini speciali?

Lavorare tanto e con passione: qui ma soprattutto in Friuli, a Buttrio, dove creo vini anche per Marina Danieli, produttrice raffinata e mia compagna nella vita da quando sono rimasto solo. Mia moglie è morta troppo presto lasciandomi con due figlie giovanissime. E quello è stato l’unico momento di sbandamento, di ricerca di un perché, di un senso della vita che avevo smarrito. Ma mi sono ripreso bene, molto bene. Il segreto, diceva? Avere entusiasmo per la vita, programmare ogni giornata, restare sempre attivi.

Nato a Bolzano ma cittadino del mondo.

Io mi definisco bastardo: padre triestino, madre roveretana, una nonna ungherese e una ceca, una moglie bulgara, un suocero transilvano. Il mio cognome è l’italianizzazione di Krainz, cui mio padre fu costretto nel 1919. Ma Bolzano resta la mia Heimat. Io qui sono stato italiano fra i tedeschi e tedesco fra gli italiani come mi ha definito qualcuno, ma non ho mai avuto problemi, ho lavorato bene con tutti e ho avuto ottimi rapporti con i miei clienti, prima all’Hotel Roma di Via Marconi dove sono nato e poi all’Edi Bar di Piazza Walther. Amico di tutti, compreso Durnwalder al quale dò del tu.

Un personaggio, insomma.

“Guardi, ho due biglietti da visita: uno me l’ha fatto la mia attuale compagna Marina Danieli e riporta i miei contatti ufficiali. L’altro me l’ha scritto _ a penna e lo conservo nel portafoglio perché è unico _ mia moglie che era una persona deliziosa. Dice: “Giorgio Grai, dottore nel tuttofare, cavaliere del buongusto e ingegnere nell’arrangiarsi.

 Giorgio Grai enologo, ristoratore, albergatore: quale lavora di più oggi?

Senz’altro l’enologo. Da anni seguo l’assortimento vini di Esselunga per la quale giro l’Europa: sono appena tornato dall’Alsazia e dalla Borgogna in cerca di “materia prima”. E poi seguo Bucci nelle Marche, l’antica cantina di San Severo in Puglia, Coli in Toscana. Insomma, sono sempre in giro.

Con l’autista? A 83 anni…

Scherza? Ho fatto rallies per dieci anni e quindi la guida ce l’ho nel dna. Ero amico di Lamborghini, ho vissuto la nascita delle sue auto quando decise di mettersi in proprio perché Ferrari era troppo lento nel consegnargli la macchina che aveva ordinato.

Un sacco di consulenze, ma ci sono anche le bottiglie firmate Giorgio Grai. Il segreto è appunto segreto, ma che cosa deve avere un vino firmato Grai?

Ci vuole molta attenzione nell’arte della composizione del vino. Partendo dal vero inizio. La natura è perfetta ma è deviata dall’incoscienza umana. Ci sono vini biologici corretti secondo il portocollo ma nati da vigne confinanti con un’autostrada. E dunque pieni di piombo. Questo non va. Ecco, il mio vino ideale deve avere tutti i requisiti, deve essere controllato fin dal chicco d’uva, che va colto nel giorno giusto: sbagliare di tre giorni può compromettere la qualità di un vino. Bisogna rispettare la natura, senza bluffare.

Di una lunga e fantastica avventura nel mondo del vino conserverà aneddoti ubriacanti. Ce ne racconta un paio?

La degustazione più rischiosa: i Masters of Wine mi hanno invitato a Londra mettendomi davanti ben 14 bicchieri da indovinare con 300 persone come pubblico. Li ho indovinati tutti, 14 su 14. L’altro episodio che ricordo volentieri è quella volta che  il grande russo André Tchelistcheff, che ha “inventato” il vino californiano, ad una degustazione da Antinori si inginocchiò davanti a un mio Pinot bianco”.

Il suo vino preferito?

Quello più difficile da costruire: il Pinot nero.

Come ristoratore ha servito e incontrato grandi personaggi. Ne ricorda uno con piacere?

Frank Sinatra. Ma anche Cossiga, Gorbaciov….

Ha visto il mondo cambiare in tutti questi anni. In meglio o in peggio?

Quello che mi colpisce di più è che sulla Terra ci sono 5 miliardi e mezzo di persone in più da quando sono nato io. Significa che l’arroganza dell’umanità che non rispetta sé stessa, che mangia male e che consuma le risorse e scarica rifiuti ovunque rischia il suicidio. E non è una questione politica. Il potere siamo noi: se uno non incomincia a sentirsi responsabile del pianeta, è finita. Insomma, sono preoccupato: non mi cambierei con uno che ha la metà dei miei anni….

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