Gli antifascisti «maturati» a Fiume

L'anniversario della morte di Manci è l'occasione per rileggerne la vita


Andrea Felis


La ricerca di storia contemporanea soffre per principio della meno drammatica fra le malattie della senescenza: è presbite, vede bene ciò che sta lontano ma sfocato quello che è vicino. Così, la distanza fra il ricercatore e l'oggetto della ricerca non è quasi mai uno svantaggio, anzi: documenti nel presente nascosti divengono noti, segreti di Stato o complicità di regime decadono, e le stesse memorie individuali spesso traggono profitto dal venir meno del fuoco, vivo ma deformante, della passione. Sta accadendo questo anche da noi, grazie ai testi di storia contemporanea locale prodotti dai nostri storici, sia di lingua italiana che soprattutto di lingua tedesca. Profili e volti quasi del tutto dimenticati assumono una fisionomia nuova, talvolta in grado di stupire, e magari facendo emergere lati insospettabili, ignoti. Due esempi sugli altri.  FIUME. Nelle scorse settimane si è ricordato l'anniversario della morte di Giannantonio Manci, morto violentemente il 6 luglio 1944 tra le mura dell'odierno Quarto Corpo D'Armata dopo lunghe sevizie. Per molti abitanti di Bolzano è solo il nome della via su cui si affaccia il liceo classico di lingua italiana, per quelli più attenti è il capo della Resistenza trentina ricordato sulla lapide antistante il IV corpo d'armata di piazza IV novembre; ma fino a poco tempo fa solo pochi conoscevano la avventurosa esistenza di questo nobile trentino, dei conti Manci. Interventista repubblicano e rivoluzionario, insieme al fratello Sigismondo nel 1919 partecipa all'impresa dell'occupazione della città di Fiume, contesa sul piano internazionale alla nascente Jugoslavia. Il poeta Gabriele D'Annunzio, genio della retorica e dotatissimo lirico, si pone alla guida di un movimento che definire eterogeneo è poco, composto da tutte le frange sovversive presenti a vario titolo sul territorio nazionale: fra queste spicca il gruppo trentino, che nel settembre 1919 è uno dei pochi a non farsi attrarre dalla sirena dell'allora movimentista Mussolini, ambiguamente sospeso tra la primaverile devastazione della sede milanese dell'Avanti! - il grande giornale socialista di cui solo 5 anni prima era stato direttore -, e gli ammiccamenti ai sindacalisti rivoluzionari. Così il gruppo dei giovani ex interventisti, non ancora smessa la divisa di combattenti volontari - e disertori dall'esercito austroungarico, con grave rischio della propria vita in caso di arresto - partecipa all'impresa dell'occupazione di Fiume con uno spirito ancora anti-imperialista, sotto l'evidente influsso della memoria di Battisti, da poco scomparso, che aveva indirizzato tanta parte del mondo intellettuale giovane trentino verso esiti repubblicani, socialisti, democratico-radicali. A Fiume i fratelli Manci partecipano all'intera avventura seguendo con curiosità gli sviluppi dell'occupazione, che nel corso del 1920, prima di venire sconfitta dal fugace ritorno alla guida dell'esecutivo del capace Giolitti nel corso del «natale di sangue», diventa bizzarramente una festa rivoluzionaria, con tanto di nuova Costituzione con alto contenuto socialista-rivoluzionario.  IL COMUNISTA. Nella «Fiume Città di Vita» i trentini hanno ruoli di spicco, così il capitano Piffer, che prende in mano un settore dei legionari rivoluzionando lo stile militare e rovesciando addirittura le gerarchie; ma anche una figura fino a poco tempo fa quasi dimenticata. Si tratta del giovane repubblicano sovversivo roveretano Silvio Bettini, che in guerra assumerà il nome di battaglia «Enzo Schettini», e che a Fiume viene ricordato per l'estrema serietà rivoluzionaria e l'alta figura magra, intristita da una terribile mutilazione di guerra, privo di una gamba. Sia Manci che Bettini Schettini (così sarà per lo più ricordato in futuro) avranno un ruolo fondamentale durante la Resistenza: si muoveranno dalle origini repubblicane verso esiti socialisti il primo, e l'approdo comunista il secondo. Come per altre biografie di rivoluzionari fiumani, tra cui quella di Gigino Battisti, figlio del martire socialista, il fascismo sarà da loro subito avversato, come pericolosa deriva antidemocratica e antioperaia; ma soprattutto comune è il tono singolarmente libertario della loro biografia politica, di uomini che creano rapporti fra settori politici diversi ma contigui - all'epoca in feroce contrasto, fra la fine degli anni Venti e la metà degli anni Trenta -, con Manci che mette insieme a Trento un fronte antifascista ampio ed eterogeneo, e Bettini Schettini che a Parigi collabora con Berneri, anarchico, ed il gruppo liberal-socialista dei Rosselli. Ma mentre Manci troverà la morte a Bolzano, arrestato in seguito alla delazione della spia nazista Lutterotti, che provocherà inoltre l'assassinio del fratello di Bettini a Rovereto, per l'ex fiumano mutilato il futuro riserverà una sorte diversa. Giunto nel capoluogo nel 1946, assumerà presto l'incarico di segretario della Camera del Lavoro, e sarà dirigente di primo piano del partito comunista fino agli anni Cinquanta e oltre. Oratore notevole, del suo mestiere originario di tipografo rimarrà poco nella sua fisionomia, tanto che anche nell'ambiente comunista gli verrà attribuita una patente di intellettuale: molti pensavano fosse architetto, come emerge da alcune interviste. A Rovereto il Museo della Guerra ha dedicato a Bettini Schettini un profilo, così a Manci, nel contesto della bella mostra «Fiume!» che contribuisce a dissipare alcune mitologie contemporanee sulla singolare impresa dannunziana, riportando su un terreno storico documentato la vicenda.  

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