L'intervista

«I nostri boschi vanno preparati alla crisi del clima»

Emergenza bostrico, parla Maurizio Odasso esperto di gestione forestale: «Siamo al culmine del fenomeno, ma è una lezione da imparare. Puntare sulla varietà di specie, per aumentare le capacità di difesa»


Francesca Gonzato


BOLZANO. Migliaia di ettari di bosco distrutti dal bostrico in Alto Adige. Nelle vallate le macchie marroni si allargano. È l’effetto combinato di due crisi: la tempesta Vaia dell’ottobre 2018 e una estate da record per caldo e siccità.

«In questi mesi dovremmo avere raggiunto l’apice dell’emergenza bostrico. Passerà, come è accaduto in altri Paesi. Ma i nostri boschi vanno adeguati al cambiamento climatico»: Maurizio Odasso è titolare di uno studio di consulenza ambientale. Su incarico di amministrazioni pubbliche e di privati si occupa di piani di gestione forestale e di aree protette in Trentino Alto Adige e nelle altre regioni del nord Italia.

Nei giorni scorsi abbiamo intervistato Günther Unterthiner, direttore della ripartizione Agricoltura e foreste della Provincia, sul bostrico, il piccolo insetto coleottero, che si è moltiplicato a dismisura grazie agli alberi abbattuti da Vaia, passando poi ad attaccare le piante sane. I tunnel scavati dal bostrico nella corteccia interrompono il passaggio della linfa, causando l’indebolimento e la morte delle piante colpite. Così Odasso.

Il bostrico è sempre esistito. In quale modo la tempesta Vaia ha provocato l’attuale emergenza?

Possiamo sintetizzare così quanto accaduto: l’enorme quantità di alberi abbattuti ha funzionato come maxi “allevamento” della popolazione del bostrico. È normale che questo insetto provi ad attaccare alberi in buona salute, ma le piante riescono a difendersi bene. È una questione di dimensioni del fenomeno. Più insetti, più piante attaccate e quindi più numerose quelle che soccombono.

E poi l’effetto del caldo e della siccità.

È la seconda componente. La siccità indebolisce le piante, che faticano maggiormente a difendersi dal bostrico. Ma finirà, lo sappiamo.

Quando?

Credo che questa estate abbiamo toccato il culmine, mi aspetto che nei prossimi due-tre anni questa ondata vada scemando. Lo abbiamo già visto accadere: alcuni Paesi dell’Europa centrale interessati dal passaggio di uragani hanno patito prima di noi il problema del bostrico. Se mille ettari di foresta andavano persi con l’uragano, altri mille se ne andavano a causa del bostrico.

Se la popolazione continua a moltiplicarsi grazie alle piante morte, perché dovrebbe attenuarsi l’emergenza?

Perché gli alberi sani sono comunque più difficili da intaccare. E perché con il tempo si sviluppano gli antagonisti naturali del bostrico, come ad esempio l’imenottero che depone le uova nelle larve del bostrico. Ma ci vuole appunto tempo.

Intanto gli ettari colpiti aumentano. Cosa si può fare? La Provincia esclude di ricorrere a prodotti chimici.

È giusto. L’impatto sull’ecosistema sarebbe troppo negativo. Insieme al bostrico verrebbero colpite centinaia di altre specie di insetti. L’unica difesa sarebbe stata sgomberare il più velocemente possibile le piante abbattute da Vaia, per ridurre l’effetto moltiplicatore del bostrico. Ma l’evento è stato talmente esteso, che era impossibile intervenire in modo sufficientemente tempestivo su larga scala. E in Alto Adige il lavoro procede più velocemente rispetto ad altri territori.

C’è una lezione che possiamo imparare da Vaia?

Spingere sulla diversificazione delle specie arboree. In Alto Adige i boschi sono prevalentemente composti da abete rosso, un lascito del periodo asburgico. I larici hanno resistito meglio a Vaia.

C’è troppo abete rosso in Alto Adige?

In realtà è una specie che fino ad ora si è adattato bene alla maggior parte di questo territorio, se parliamo delle vallate. Diciamo che c’è stata una immissione troppo spinta nella zona da Salorno alla conca di Bolzano e la Mendola, a scapito dei faggi. In Trentino la sostituzione dei faggi con l’abete rosso è stata assai più marcata. In generale sì, la tempesta Vaia è un segnale che va ascoltato. Perché il tema è il cambiamento climatico.

I nostri boschi dovranno cambiare?

Sì. Fenomeni come Vaia aumenteranno e sappiamo che crescerà anche la temperatura. Bisogna lavorare sulla differenziazione delle specie forestali. Iniziando subito, perché sono processi ovviamente molto lenti.

Guardando all’Alto Adige, come si può differenziare?

Oltre all’abete rosso puntare sull’abete bianco, sul larice e, dove possibile, sulle latifoglie, come faggio, frassino e aceri. La varietà dà forza al bosco, perché aumentano le capacità di risposta allo stress. Torno all’esempio di Vaia, con i larici che hanno resistito meglio .

Ci sono esempi virtuosi di risposta al cambiamento climatico in materia forestale?

In Austria stanno elaborando piani studiati valle per valle. L’ente decisore elabora proposte insieme ai forestali del luogo. Si fissano gli obiettivi in 20-30 anni: quali specie ridurre, quali aumentare e di quanto. Da noi esistono linee guida generali sull’aumento delle varietà, ma non si sta lavorando ancora in modo così specifico. È tempo di fare delle scelte.













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