La storia

I vent’anni dell’Excelsior: in campo vince poco, ma è campione di fair play 

La festa per una squadra divenuta famosa per il progetto che coniuga sport e inclusione sociale


Antonella Mattioli


BOLZANO. «È la cosa più bella dell’ultima settimana». Forse solo una frase di circostanza; o forse - noi propendiamo più per questa ipotesi - parole sincere quelle del presidente Arno Kompatscher che tra i mille impegni e le altrettante grane della giornata, ha trovato il tempo per andare ai campi di via Resia a festeggiare i 20 anni dell’Excelsior. La squadra di cui si è appassionato anche “Le Monde”; è stato girato un documentario per una produzione francese ed è stato scritto un libro. Il governatore ha incontrato i dirigenti e i giocatori in divisa celeste; poi - prima di correre al prossimo appuntamento - ha indossato i panni del bomber: tre rigori, tre gol.

«Il progetto di questa società mi piace - dice Arno Kompatscher - dovrebbe essere il modello per tanti altri sodalizi sportivi dove invece c’è solo agonismo a partire dai pulcini e per molti genitori che, nell’illusione di avere in casa Maradona, pretendono da figli e allenatori l’impossibile».

Siamo tutti titolari

In questa scritta all’ingresso del campo, nel cuore di Don Bosco dove tutto è iniziato 20 anni fa, è concentrato il progetto della società. Che il presidente Mirco Marchiodi, appassionato di numeri, spiega così: «In questi vent’anni abbiamo giocato 380 partite, di cui 371 perse, 6 pareggiate e solo 3 vinte. Numeri impietosi che, come prima reazione, fanno pensare a “qualcosa di ridicolo e poco serio”, ma che in realtà ci permettono di spiegare l’essenza e l’assoluta serietà del progetto. Facciamo agonismo e in questo siamo uguali alle altre squadre, però abbiamo una forte anima di inclusione sociale. Per cui in squadra trovano spazio e giocano - per lo stesso numero di minuti - anche coloro che in altre società starebbero nella migliore delle ipotesi in panchina».

In questi anni sono passati per le fila dell’Excelsior circa 300 giovani, tra loro anche persone con fragilità: tutti si sono sentiti accolti e parte di un progetto. Al punto che c’è anche chi ha trovato una seconda famiglia.

Come il giovane che da poco ha perso entrambi i genitori: per la sua fragilità, all’esterno lavora in un laboratorio protetto e abita in un alloggio protetto dell’Ipes, ma dentro la squadra vive una situazione di normalità. Tanto che ai giocatori avversari che, un giorno, dalla panchina lo deridevano per i suoi movimenti scoordinati, ha risposto per le rime: «Io sono qui che gioco, mentre tu sei in panchina». Tra i calciatori anche immigrati. Come Khudadad, scappato dall’Afghanista, che Max Antonino, storico coordinatore della squadra, ha aiutato a trovare un lavoro prima come pasticcere e poi come macellaio ad Appiano. Ha frequentato i corsi serali in lingua tedesca e ha ottenuto la licenza media. Adesso il prossimo obiettivo è il matrimonio. Sta mettendo da parte i soldi per celebrarlo in Iran, perché in Afghanistan è troppo pericoloso, e far arrivare lì, a sue spese, gli invitati.

Campioni di fair play

In campo vincono poco, ma i giocatori dell’Excelsior sono campioni di fair play: hanno vinto 15 coppe disciplina su 19 campionati disputati. Al presidente Kompatscher, Marchiodi ha chiesto un aiuto per organizzare il Premio fair play Alto Adige, una manifestazione che, nelle intenzioni dei promotori, dovrebbe ripetersi annualmente per premiare sia a livello locale che nazionale atleti di tutte le discipline sportive che si siano contraddistinti per gesti esemplari. L’idea è piaciuta e il governatore, andandosene, ha promesso il suo appoggio.













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