Il delitto della perpetua, un femminicidio irrisolto

Era il 7 novembre del 1973: sotto accusa il parroco, che però venne assolto


di Orfeo Donatini


BOLZANO. Nel 1973, quando ancora non c'erano le trasmissioni televisive dedicate dalla cronaca nera, ai processi ed ai gialli, o casi irrisolti e irrisolvibili che dir si voglia, quanto accaduto nella canonica di Santa Gerltrude, l'ultimo paesino della Val d'Ultimo, destò grande clamore e diffusa attenzione: era il 7 novembre, faceva freddo e c'era già la neve, quando la perpetua Maria Luise Fliri Platzgummer di 64 anni venne ritrovata morta nella sua camera. Il parroco don Josef Steinkasserer, che all'epoca aveva 34 anni, viene arrestato tre giorni dopo, ma tutti i processi che seguirono lo mandarono sempre assolto per insufficienza di prove. Del caso l'Alto Adige si occupò ovviamente con grande rilievo prima con ampi articoli del collega Francesco Palchetti da Merano e poi del collega Giovanni Perez da Bolzano. Quella di don Josef Steinkasserer fu una storia disseminata di dilemmi, depistaggi, bugie, violenza, morte, fanatismo. Un intrigo che la giustizia, dopo otto anni, in assenza di prove, nel 1981 decise di archiviare mettendoci definitivamente una pietra sopra. Tutto iniziò nel cuore della notte del 7 novembre 1973 quando nella sua stanzetta al pian terreno della parrocchia di Santa Geltrude d'Ultimo venne trovata uccisa la perpetua Luise Fliri, vedova Platzgummer. Una donna di Naturno, dalla condotta irreprensibile che a detta di chi la conosceva era anche bella nonostante l'età non più verde. La vittima aveva 64 anni e la scena del crimine fece subito pensare a un massacro eseguito da un violentatore respinto. Il corpo insanguinato, seminudo, la pelle devastata da unghiate, era riverso sul pavimento, mani e piedi legati con una tenda di broccato tolta dalla finestra. L'assassino non aveva stretto i nodi facendo sospettare una messiscena costruita dopo il delitto. Chiunque in vita si sarebbe potuto liberare anche solo muovendo gli arti. L'autopsia accerterà una morte per soffocamento facendo pensare a una reazione dell'omicida per impedire le urla. Sul letto c'era un cuscino sgualcito probabile "arma" del delitto.

“Verso le 7 del mattino di quel maledetto giorno – scrive Palchetti - bussammo alla porta della parrocchia e fu proprio il sacerdote ad accoglierci consentendoci di fotografarlo. L'immagine di quell'uomo ferito, con un vistoso cerotto gli copriva lo zigomo sinistro, è ancora viva nella nostra mente”. “Due ladri son venuti - iniziò a raccontarci - mi hanno picchiato, ma sono riuscito a farli desistere e a metterli in fuga lanciando contro di loro una brocca. Erano entrambi di corporatura robusta, mascherati, avevano un cappello nero e indossavano stivali neri». Come Zorro? «Sì - rispose - proprio come Zorro».

Le indagini le iniziò il capitano dei carabinieri Arno Mandolesi che sin dal primo interrogatorio non nascose di nutrire pesanti sospetti nei confronti del religioso che tre giorni dopo venne arrestato con la pesante accusa di omicidio volontario. Secondo l'ufficiale era strano che i malviventi avessero ucciso la testimone di una rapina e risparmiato il testimone di un delitto. Altri due dettagli di non poco conto, a detta degli inquirenti, erano rappresentati dai frammenti di vetro della finestra dello studio del parroco rinvenuti sulla tettoia e non all'interno dell'edificio. Secondo la ricostruzione ufficiale era di là, infatti, che gli assassini sarebbero dovuti entrare. La canonica era circondata da un recinto di legno della lunghezza di circa 70 metri trovato interamente abbattuto verso l'esterno quando sarebbe stato più semplice per i malfattori fuggire dal cancello. Sembravano gli effetti devastanti di un ciclone. C'è poi la vicenda chiave del cappello nero che Steinkasserer dichiarò fosse stato perso da uno dei due malviventi durante la ritirata precipitosa mentre il sagrestano Hans Bertagnolli sostenne che un cappello simile lo possedeva anche il sacerdote. Fra i 14 elementi d'accusa elencati dal pubblico ministero Domenico Cerqua, c'era poi il particolare dei 24 mignon di amaro Underberg trovati nel cestino dei rifiuti della stanza del parroco. Il magistrato sottolineò anche il ritardo dell'allarme dato dal parroco che solo dopo un'ora andò a cercare la perpetua. In una valle sperduta, chiusa, com'è quella d'Ultimo l'immaginario collettivo esclude che un prete possa arrivare a uccidere. L'opinione pubblica si spaccò in due e a rimetterci fu il bravo capitano Mandolesi che poco tempo dopo si ritrovò a dirigere il nucleo antidroga a Palermo. Morirà lì, distrutto da un male incurabile. Delle indagini si occupò direttamente il colonnello Cogliandro che alcuni anni dopo divenne capo dei servizi segreti. La difesa del parroco nella valle fu corale, ma in quella diga eretta dai fedeli si formò una piccola crepa quando si scoprì che il prete era un amatore impenitente. Il gossip emerse nel corso dei processi che videro più volte passare Steinkasserer dalla polvere all'altare (in tutti i sensi perché dopo una condanna a 14 anni e la definitiva assoluzione per insufficienza di prove venne liberato dalla sospensione a divinis e riprese a celebrare la messa). Nel corso del dibattimento emerse che la sera del 6 novembre, quindi poche ore prima del delitto, don Josef avrebbe atteso invano a Santa Geltrude una sua amica della Val d'Isarco. «Una delusione - sostenne l'accusa - che lui annegò nell'amaro dei 24 Underberg». Il sacerdote dal carcere negò sempre tutto. Difeso dall'avvocato Gamper nei vari gradi del processo, come detto, alla fine ne uscì con un'assoluzione per insufficienza di prove e continuò a svolgere le funzioni di parroco in Valle Aurina. Morirà all'età di 71 anni nel dicembre del 2010 portando con sé tutti i misteri di quella tragica notte nella canonica di Santa Geltrude d'Ultimo.













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