La storia

Il maggio caldo del 1921 con lo sciopero dei ferrovieri che unì italiani e tedeschi 

L'episodio avvenne esattamente cento anni fa. La protesta compatta dei lavoratori paralizzò i trasporti per circa un mese


Mario Usala


BOLZANO. In Alto Adige la primavera del 1921 fu caratterizzata da un'ondata di scioperi che mise a dura prova i trasporti ferroviari e che bloccò i treni per quasi un mese, paralizzando, di fatto, l'intero territorio; a scioperare furono i ferrovieri altoatesini, sia italiani che tedeschi, ai quali si unirono, fin da subito, i ferrovieri giuliani, quelli trentini e quelli di Innsbruck.

I ferrovieri italiani provenivano in gran parte dalle regioni del centro nord e, insieme a quelli locali, lamentavano la non corretta applicazione del contratto di lavoro, la mancanza di alloggi (promessi dal governo Giolitti), il taglio alle indennità di trasferta. In quell'aprile del 1921 il clima in Alto Adige era già caldo e la tensione sociale alle stelle: a Bolzano, a febbraio, Achille Starace aveva fondato i “fasci di combattimento”, i quali, con metodi poco ortodossi, rivendicavano l’italianità del territorio; il 24 aprile fu assassinato il maestro Franz Innerhofer; il 25 aprile una folla di 8.000 persone protestò in Piazza mercato, oggi Piazza Verdi, manifestando lo sdegno di una provincia intera.

Lo sciopero dei ferrovieri surriscaldò le relazioni politico-sindacali e acuì ulteriormente la tensione, ma i ferrovieri avevano le loro buone ragioni: da alcuni anni aspettavano che le promesse fossero mantenute.

Il blocco dei ferrovieri

I ferrovieri erano entrati in sciopero già qualche giorno prima dell'assassinio di Innerhofer, bloccando le linee Bolzano-San Giacomo, Bolzano-Gries, Merano-Lana e quella della Mendola. Ben presto però furono fermati anche i treni a Brennero e a Innsbruck, dove i colleghi tedeschi bloccarono il transito.

Il governo italiano, pressato dalla stampa conservatrice, intervenne inviando personale inesperto della Marina Militare; i fascisti gettarono benzina sul fuoco parlando di danni incalcolabili alle Ferrovie italiane e alla patria; furono inviati crumiri (a Innsbruck vennero presi a bastonate), furono razionati i viveri, tutto il personale venne minacciato di licenziamento.

Ma la protesta non si fermò. I ferrovieri altoatesini furono sostenuti dallo SFI, il Sindacato dei ferrovieri italiani, all’epoca quello meglio organizzato; lo SFI contribuì al sostegno economico sia dei ferrovieri in sciopero che delle loro famiglie.

Anche il sindacato dei ferrovieri tedeschi era ben organizzato; già sotto l’Austria aveva dato prova di coerenza e di unità d'intenti. I rapporti tra i due sindacati erano ottimi: ferrovieri italiani e tedeschi, insieme a quelli di Innsbruck, si unirono in un’unica lotta.

I sindacalisti

Le rivendicazioni degli scioperanti furono fatte proprie da alcuni dei più noti sindacalisti dell'epoca, in particolare da Adolf Berger, presidente del Sindacato dei ferrovieri, più volte arrestato, e da Giovanni Pitacco.

Quest’ultimo, triestino di nascita, parlava correttamente l'italiano e il tedesco, era già stato segretario sindacale dal 1907 in poi e, dopo la guerra, fu acclamato nuovamente segretario nel giugno del 1920.

Con i ferrovieri solidarizzò anche l’allora Partito socialdemocratico, che era in ottimi rapporti con il Partito socialista italiano, in particolare con Giacomo Matteotti e Filippo Turati, tra i primi socialisti a riconoscere il “problema sudtirolese”.

Ferrovieri, sindacalisti ed esponenti del Partito socialdemocratico si riunivano spesso nella Casa del Sindacato, in via Gilm a Bolzano (una traversa tra le attuali via Carducci e via Dante), sede anche del partito e qui coordinavano strategie e azioni. La sede venne poi distrutta durante la seconda guerra mondiale e non venne più ricostruita.

Il primo maggio 1921

Il Primo maggio vide i ferrovieri più uniti che mai, con comizi e manifestazioni in tutto il territorio. Lo sciopero, che si protrasse per quasi tutto il mese di maggio, durò 27 giorni e fu, probabilmente, il più lungo sciopero di sempre dei ferrovieri; i contrasti “etnici” furono accantonati in nome di un comune interesse.

Ai primi di giugno le rivendicazioni dei ferrovieri furono quasi tutte accolte, tra cui il ripristino dell'indennità di trasferta. Ai ferrovieri fu promessa anche la costruzione di alloggi.

La vittoria fu però effimera: sul finire dell'anno molti ferrovieri di madrelingua tedesca subirono pesanti ripercussioni lavorative e furono licenziati o costretti a trasferirsi in Austria, mentre Adolf Berger, il loro esponente principale, fu espulso dall'Italia.

Nubi nere cominciarono ad addensarsi sull’Alto Adige e dopo poco tempo, con l'avvento del fascismo, il temporale scoppiò: i liberi sindacati furono sciolti, la Casa del Sindacato occupata e i socialdemocratici furono messi fuori gioco.













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