L'EMERGENZA

Imprese altoatesine, un tracollo miliardario 

Il dato dell’Ire. Due mesi di attività economica ridotta al 50% significano una perdita del Pil altoatesino pari al 5%: un miliardo di euro in meno Artigiani, partite Iva e negozianti i più esposti al rischio-liquidità. I sindacati: «Prima viene la salute dei lavoratori», ma molte aziende sono chiuse


Maurizio Dallago


BOLZANO. Commercianti, ristoratori, dipendenti del settore privato e pubblico. Ed ancora il popolo delle partite Iva, aziende grandi e piccole. La «botta» economica da Coronavirus ha le dimensioni di un gigante. Le stima dell’Ire, istituto di ricerca economica della Camera di commercio, per quanto riguarda l’Alto Adige sono impressionanti.

«Dato un Pil annuale in provincia di Bolzano sui 20-21 miliardi di euro, la stima di un’attività economica ridotta al 50% nell’arco di due mesi è pari ad un taglio del prodotto interno lordo altoatesino pari al 5%, ovvero in soldoni un miliardo di euro», spiega il direttore dell’Ire, Georg Lun. In Alto Adige operano circa 180 mila dipendenti del settore privato.

Molti messi in cassa integrazione, oppure per ora consigliati a prendersi le ferie, permessi e quant’altro. A questi aggiungiamo i 40 mila dipendenti pubblici, allo stato in gran parte in telelavoro ed i 30 mila autonomi, che si arrangiano come possono e sono a forte rischio liquidità. Come le piccole imprese.

C’è da sperare che l’epidemia si allontani il prima possibile. Prendi i giardinieri: questo era il periodo migliore per le vendite. Tutto in frantumi. O il piccolo negoziante o gestore e proprietario di un bar. Prima, quando l’economia circolava, si viveva mese per mese: debiti, prestiti, affitti da pagare, magari qualche unità lavorativa a cui dare lo stipendio. Adesso è tutto fermo.

I sindacati. C’è da segnalare, ieri, un altro tema avanzato dai sindacati. «Prima viene la salute dai lavoratori ed è bene che solo le aziende comprese nell’elenco di Palazzo Chigi come strategiche vadano avanti con la produzione. Se restassero aperte anche quelle cui il permesso è negato, siamo pronti a forme di protesta», sottolineano i sindacati: dalla Cisl alla Cgil, dalla Uil all’Asgb.

«Solo le attività indispensabili devono continuare a produrre», così ad esempio Claudio Voltolini della Fim/Cisl. «Nel mio settore stiamo monitorando la situazione», evidenzia Stefano Parrichini della Filctem-Cgil, categoria che raggruppa i lavoratori della chimica, del tessile e dell’energia.

Il punto è che i codici Ateco hanno creato confusione. «La decisione del governo di utilizzare i codici Ateco per definire le attività produttive da tenere aperte o da chiudere potrebbe creare molta confusione in una fase nella quale sarebbe bene che ci fossero disposizioni chiare. I codici in questione servono a fini statistici e all’Inps e all’Inail per la definizione dell’attività economica delle aziende.

Nella stessa unità produttiva ci possono essere più codici Ateco se questa opera in più ambiti. Quale si applicherebbe rispetto all’elenco allegato al decreto del premier?», si chiedono i segretari della Sgb/Cisl, Michele Buonerba e Dieter Mayr. «Questa mattina abbiamo scritto al Commissario del governo per chiedere una vigilanza capillare rispetto alle eventuali attività economiche che dovessero rimanere aperte in palese violazione dell’obbligo di chiusura».

La minaccia, in caso contrario, è quella dello sciopero, così i sindacati. «L’elenco delle aziende aperte deve essere completo e senza dubbi», dice la Cna. Da segnalare che la Thun garantirà lo stipendio completo a tutti i suoi lavoratori con un apposito fondo integrativo, a fianco degli ammortizzatori sociali. L’azienda ha deciso anche la chiusura dei negozi fino al 2 maggio.

La Provincia. Il governatore Arno Kompatscher ha firmato l’ordinanza con cui vengono adottate le disposizioni contenute nel decreto del presidente del Consiglio dei ministri Conte ad intervenire con ulteriori limitazioni della produzione industriale e commerciale. Le misure sono già in vigore, e varranno fino al 3 aprile. La lista di chi può continuare a produrre è quella di Palazzo Chigi. È inoltre permesso non bloccare impianti a ciclo di produzione continua, se l’interruzione dovesse produrre un grave danno all’impianto stesso o pericolo di incidenti. In questo caso è però necessaria un’apposita comunicazione al prefetto.













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