la storia

In fuga dalla guerra, nuova vita al S.Maurizio per tre dottoresse ucraine

Nataliia Mysakovets e le colleghe Olesia Potsiurko e Tetiana Ryblova sono in Alto Adige dalla primavera. Assunte per un anno, ora dovranno farsi riconoscere i titoli. «Ottimi i rapporti con i colleghi, ma il pensiero è sempre ai nostri familiari e agli amici rimasti sotto le bombe»


antonella mattioli


BOLZANO. «La guerra mi ha insegnato a vivere il momento. Non faccio progetti; vado avanti senza troppe illusioni sul giorno in cui potrò tornare di nuovo a casa. A Leopoli dove ho lasciato mio marito; i miei familiari, i miei amici, l’ambulatorio di otorino che gestivo con mio padre». C’è un mix di nostalgia, preoccupazione, precarietà nelle parole di Nataliia Mysakovets, 32 anni, fuggita dall’Ucraina a marzo, che oggi lavora come otorinolaringoiatra all’ospedale San Maurizio.

Olesia Potsiurko, 29 anni, è una sua concittadina, specializzata in neonatologia: da questa primavera pure lei è in servizio nel nosocomio bolzanino. Tetiana Ryblova, 41 anni, è scappata da Kiev: medico con la specializzazione in dermatologia fa parte nell’equipe del reparto dell’ospedale bolzanino. Mariana Kosyka, 31 anni, pneumologa, è stata assunta presso la direzione medica dell’ospedale di Vipiteno.

Abbiamo incontrato le tre dottoresse che lavorano nel capoluogo, nell’ufficio della direzione sanitaria del comprensorio di Bolzano. Nonostante siano in Alto Adige da pochi mesi, se la cavano già bene con l’italiano.

Assunzione per un anno

«Un provvedimento del governo - spiega Pierpaolo Bertoli, direttore sanitario del comprensorio di Bolzano- ha stabilito che in via provvisoria possono essere assunte per il periodo di un anno. Nel frattempo dovranno attivare la procedura per il riconoscimento dei titoli. Siamo molto contenti di poter contare sulla collaborazione di queste professioniste».

Per la sanità altoatesina che deve fare i conti con pesanti carenze di organico, l’arrivo delle quattro dottoresse ucraine è una piccola boccata d’ossigeno; per loro un’occasione importante per lavorare, ma soprattutto cercare di andare avanti nonostante il pensiero sia sempre rivolto alla guerra scatenata da Putin che, da febbraio, ha lasciato sul campo migliaia di morti; devastato un Paese, costringendo soprattutto donne e bambini a fuggire lontano dalle bombe. Hanno lasciato tutto: la casa, gli affetti, il lavoro, i progetti.

«A Bolzano - dicono Nataliia Mysakovet e le colleghe Olesia Potsiurko e Tetiana Ryblova - ci troviamo bene; i rapporti con medici e infermieri è ottimo. Ci vengono incontro; cercano di aiutarci. Dal punto di vista professionale è un’importante occasione di arricchimento; qui però siamo arrivate, perché costrette a scappare dalla guerra».

Tutte hanno figli e la decisione - seppur sofferta di lasciare l’Ucraina - è stata dettata anche e soprattutto dalla necessità di mettere in salvo i figli.

Nataliia Mysakovets ha due bambini di 5 e 9 anni che adesso frequentano la scuola a Bolzano: «Era diventato un incubo vivere a Leopoli. Con la paura delle bombe e i bambini costretti a fare lezione nelle cantine». A marzo, quando ha lasciato l’Ucraina per venire da conoscenti a Bolzano, c’era anche sua sorella, pure lei otorinolaringoiatra, con un bimbo di due mesi. «È rimasta qualche settimana; a luglio ha voluto tornare a casa. Non se la sentiva di crescere il piccolo lontano dal padre».

Anche Nataliia in estate è rientrata, poi però è ripartita. «Adesso la situazione è ulteriormente peggiorata. Le case sono gelide perché non c’è riscaldamento e non c’è l’energia elettrica. Mio marito, che è un top manager, può lavorare solo quando c’è la luce. È una situazione disastrosa. Il timore è che questo dramma non finisca più». Preoccupata per la piega che ha preso il conflitto, Nataliia sta cercando di convincere sua sorella a tornare a Bolzano. «Purtroppo in questo momento, con un bambino piccolo, è oggettivamente difficile lasciare il Paese, ma spero di riuscire a convincerla».

Senza luce e senza gas

«Io ho portato con me - spiega Olesia Potsiurko - mia figlia che ha sei anni. Non è stato facile decidere di partire; alla fine non c’erano alternative. Certo Leopoli è considerata più sicura di altre città a sud del Paese, ma oggi non c’è più un posto che sia sicuro. I missili possono cadere ovunque, in un ogni momento. Chi è rimasto, ha imparato in qualche modo a convivere con la paura delle bombe. Per me invece era impensabile lavorare, sapendo che mia figlia era in pericolo. E adesso che arriva l’inverno tutto diventa più complicato senza riscaldamento e senza luce».

Anche Tetiana Ryblova, una volta arrivata in Alto Adige, è stata ospitata da amici, ma poi è riuscita nell’impresa tutt’altro che facile di trovare un appartamento. Assieme a lei anche la figlia studentessa a Bolzano.

L’incertezza del futuro

Se il presente preoccupa, il futuro fa ancora più paura.

«Quando un giorno - dice Ryblova - questa guerra finirà; l’Ucraina sarà ridotta ad un cumulo di macerie; le persone non saranno più le stesse. La speranza ovviamente è di poter ritornare a casa prima o poi; non sarà facile però ricominciare in un Paese che non è più quello che abbiamo conosciuto. Intanto andiamo avanti e già il fatto di poter lavorare, aiuta a non mollare».

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