Lo sfogo

L’infermiera non può vaccinarsi: «Sono stata sospesa ma non sono una no-vax» 

L’amarezza di un’operatrice sanitaria.«Ho fatto il Covid con conseguenze serie, il medico del Centro mi ha spiegato che non potevo farmi vaccinare. Poi ha visto il lavoro che svolgo e mi ha detto che la legge me lo impone. Chiedo umanità»



BOLZANO. «Dal 31 luglio l’Asl mi ha sospesa dal lavoro, senza stipendio. Trattata come una no-vax anche se non lo sono. Purtroppo, mi trovo in una situazione complicata, nella quale mi sarei aspettata un po’ di umanità da parte dell’Azienda. In particolare dopo quello che io e le mie colleghe abbiamo dato in quest’anno e mezzo di pandemia».

F.T., 54 anni, bolzanina, da 34 lavora come infermiera, prima in sala operatoria, poi sul territorio. Ed è quasi sicuramente in servizio anche il 10 novembre dello scorso anno quando si è ammalata di Covid. «Nonostante - racconta - sia stata sempre attentissima, ho contratto il virus. Del resto, la situazione in quel momento, era molto difficile. Si andava in casa e poi, qualche giorno dopo, arrivava la notizia che il paziente era positivo. Sono state settimane e mesi duri: il telefono al distretto non smetteva mai di suonare. A chiamare erano persone disperate che chiedevano aiuto. Io e le mie colleghe non ci siamo mai tirate indietro».

F.T. torna in servizio dopo 21 giorni: il tampone è negativo, però non si sente ancora bene. «Ho chiesto di fare qualche giorno in più di malattia, ma la risposta è stata negativa. Impossibile anche prendere ferie. Al distretto c’era urgente bisogno di personale».

Gli strascichi del Covid

Dopo un paio di mesi, la ricaduta: le diagnosticano una polmonite. Probabile conseguenza del Covid.

Altre quattro settimane di malattia, poi di nuovo in servizio. «Però - racconta - sentivo che c’era qualcosa che non andava. Un malessere strano che si è evidenziato in maniera particolare durante una camminata in montagna. Ho voluto capire cosa stesse succedendo e sono andata privatamente da una cardiologa, perché per la visita in convenzione avrei dovuto aspettare troppo. Mi diagnostica una pericardite acuta e mi prescrive la terapia. Nel frattempo arriva l’invito dell’Asl a presentarmi per la vaccinazione e io invio tutta la documentazione relativa alla diagnosi di pericardite all’Ufficio che si occupa di vaccinazioni. Nessuno mi risponde».

Dopo tre settimane, la visita di controllo dalla cardiologa. «Ne approfitto per chiedere se con questo tipo di patologia in atto, devo o meno farmi vaccinare. La specialista mi dice che in base al decreto ministeriale mi devo rivolgere al medico di famiglia. Cosa che faccio qualche giorno dopo, la risposta è: non ho la competenza per decidere sull’esonero o meno dalla vaccinazione. Chieda al medico del Centro vaccinale».

Vaccino: prima no e dopo sì

Ed è quello che fa l’infermiera. «Mi presento nel box del medico per l’anamnesi e mostro la documentazione relativa all’ultima diagnosi. Mi dice che non sono idonea a ricevere il vaccino. Chiede conferma ad un collega più anziano, il quale - dopo aver esaminato le carte - conferma che non devo immunizzarmi. Pensavo che la questione fosse chiusa così. Mi sbagliavo. Perché mentre il medico sta preparando la documentazione con l’esonero, si accorge che sono un’infermiera. E a quel punto cancella quello che aveva appena scritto e mi ricorda che la legge impone al personale sanitario di vaccinarsi. Dovendo scegliere tra il rischio di creare un danno alla mia salute e il lavoro, ho optato per la prima e il risultato è stato la sospensione dal servizio senza stipendio dal 31 luglio».

Dopo quello che è successo, l’infermiera chiede di poter parlare con i vertici dell’Asl, in particolare con direttore sanitario Pierpaolo Bertoli: «Voglio spiegare personalmente la mia situazione; cercare di capire meglio i rischi che potrei correre vaccinandomi; provare a vedere se è possibile aspettare la fine di settembre, quando avrò la visita di controllo dalla cardiologa. Dopo 34 anni di servizio, non posso essere trattata così». A.M.

 













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