La Biblioteca della donna riparte dalle femministe 2.0 

Il centro di documentazione. La sede è stata chiusa per consentire l’ampliamento dell’Istituto musicale Vivaldi ma c’è un nuovo direttivo guidato da Paola Irene Ferraris pronto a proseguire le battaglie, andando nelle scuole


Antonella mattioli


Bolzano. Negli anni ’80 era stato un gruppo di femministe guidato da Marina Manganaro a creare il Centro documentazione delle donne e annessa biblioteca. Oggi sono le femministe 2.0 a volerne il rilancio. In questo momento non hanno neppure una sede, perché quella storica di piazza Parrocchia è stata chiusa per consentire l’ampliamento dell’Istituto musicale Vivaldi. Ma loro, le sei donne che compongono il nuovo direttivo del Centro documentazione della donna, hanno voglia di ripartire. A guidare il rilancio, la presidente Paola Irene Ferraris, 50 anni, genovese di nascita, altoatesina d’adozione che si muove tra Fié allo Sciliar dove abita e Bolzano dove lavora in un’azienda svedese. Accanto a lei, cinque donne tra i 27 e i 50 anni: Clarissa Vacalebre (vice), Karin Maria Rizza, Giulia Zorzi, Lisa Less, Lisa Furlanetto.

Siamo nel 2020: serve ancora un Centro documentazione della donna con annessa biblioteca?

Certo che serve: leggere, documentarsi, conoscere le battaglie degli anni 60-70-80 è importante per capire da dove siamo partite e darsi nuovi obiettivi.

Voi che obiettivi vi siete date?

Noi puntiamo sulle scuole: è da lì che bisogna partire - dai bambini piccoli - per educare le nuove generazioni. Il cambio di mentalità inizia anche dall’uso di un linguaggio che non sia sessista. Le battaglie delle nostre madri sono state importanti, ma c’è ancora molta strada da fare. Lo si è visto - semmai ce ne fosse stato bisogno - anche in occasione delle recenti elezioni comunali.

Qual è il suo modello di società per quanto riguarda il raggiungimento di una reale parità tra donne e uomini?

Quella svedese.

Parla per esperienza diretta?

Parlo perché lavorando per un’azienda svedese che ha la sede italiana a Bolzano, ho tanti colleghi maschi in congedo parentale.

Volendo il congedo parentale lo posso prendere anche i padri italiani.

Certo, ma lei quanti ne conosce? In Italia capita che l’uomo si senta quasi in imbarazzo a chiederlo. La cura dei figli come di genitori e familiari anziani sembra che sia una cosa solo da donne. Adesso poi, lo smartworking dettato dall’esigenza Covid, rischia di riportare indietro le donne di anni: lavoro da casa, cura dei figli a loro volta a casa. Mai un momento da dedicare a se stesse. Noi vogliamo essere da stimolo contro la rassegnazione. Quando saremo fuori da quest’emergenza sanitaria, faremo un grande evento tutto dedicato al mondo del lavoro, dove la donna fatica a raggiungere i posti apicali, nonostante spesso e volentieri sia più preparata dei colleghi maschi.

Lei come si definirebbe?

Femminista 2.0.

Nel direttivo del Centro di documentazione e nel consiglio di Biblioteca ci sono solo donne?

No, abbiamo già un uomo e ne vorremmo avere altri due: è giusto mettere assieme i diversi punti di vista.













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