Mentre in Tirolo si votava per l’annessione alla Germania, in città un corteo festeggiava la riapertura della fiera: ma fu guerriglia

La domenica di sangue che segnò Bolzano

Il 24 aprile 1921 squadristi fascisti uccisero Franz Innerhofer: domani convegno di storici


Andrea Di Michele


Il 24 aprile 1921 è la data della cosiddetta «Bozner Blutsonntag», la domenica di sangue, che vide a Bolzano l'assassinio ad opera dei fascisti di Franz Innerhofer, un maestro di Marlengo. Quella domenica rappresenta una data centrale nella memoria collettiva sudtirolese e Innerhofer, insieme a figure come Josef Noldin e Angela Nicoletti, ricopre un posto centrale tra i simboli dell'oppressione fascista.  Il 24 aprile 1921 a Bolzano si teneva un corteo folcloristico per la riapertura della fiera cittadina. Dopo la lunga sospensione del periodo bellico finalmente la fiera riapriva i battenti e ciò faceva di quella giornata un appuntamento importante e sentito. Ma la giornata era speciale anche perché a nord del Brennero vi si teneva un referendum che, contro quanto previsto dai trattati di pace, mirava all'annessione dell'Austria alla Germania. L'appuntamento era visto con preoccupazione da parte italiana per i riflessi irredentistici che poteva avere in Alto Adige, dove un plebiscito a favore dell'unificazione di tutti i tedeschi avrebbe ridato forza a chi chiedeva di rivedere il confine del Brennero. Per i fascisti, in particolare, il corteo in abiti tirolesi previsto a Bolzano proprio quel giorno non era da considerarsi un caso, ma una provocazione politica di segno «pangermanista».  Per questo motivo il fascio di combattimento di Bolzano decise di organizzare per lo stesso giorno una «manifestazione d'italianità» contro le «pretese tirolesi» su Bolzano, «estrema sentinella della Patria». Ma la forza politica e militare del fascismo bolzanino era alquanto limitata, potendo contare su un centinaio di aderenti. Per questo chiese e ottenne il sostegno del comitato centrale dei fasci di combattimento con sede a Milano.  Puntualmente, a dare manforte ai fascisti locali, il 24 aprile giunsero a Bolzano circa 300 squadristi provenienti soprattutto da Veneto, Lombardia e Trentino. Durante la mattinata i fascisti si limitarono a gesti di provocazione, in attesa che si svolgesse nel pomeriggio l'atteso corteo folcloristico. Questo fu preso d'assalto a manganellate, colpi di pistola e persino lanci di bombe. Il bilancio fu di un morto, Franz Innerhofer, e di una cinquantina di feriti.  In questo come in altri episodi simili, di fronte alla violenze squadriste, le forze dell'ordine dimostrarono debolezza, se non connivenza. Il loro comportamento era il riflesso della profonda crisi dello Stato liberale, che pareva arrendersi senza reagire all'aggressione del fascismo in ascesa. Nonostante le successive inchieste, nessuno dei responsabili delle violenze e dell'omicidio di Innerhofer venne mai punito.  Ma il fascismo poté dirsi soddisfatto solo in parte del risultato della propria spedizione. La reazione della locale società civile, italiana e tedesca, fu infatti forte e di chiaro segno contrario. Per il giorno successivo, partiti e sindacati indissero uno sciopero generale di protesta contro i fatti di Bolzano, con una massiccia partecipazione di esponenti di entrambi i gruppi linguistici. Una delegazione si incontrò poi con il Commissario generale civile Luigi Credaro, che significativamente partecipò in prima fila ai solenni funerali di Innerhofer, ai quali presero parte migliaia di persone. Emerse dalla società locale una chiara reazione di indignazione e protesta che favorì una temporanea alleanza di segno antifascista, in grado di tenere insieme forze istituzionali come il Commissariato civile, i partiti conservatori sudtirolesi e le forze di sinistra tedesche e italiane.  Innerhofer è stata la prima e unica vittima dello squadrismo in Alto Adige. Rispetto ad altre realtà regionali, specie del Centro-Nord, Bolzano fu toccata solo di striscio dalle violenze fasciste, che altrove prima dell'ascesa di Mussolini al potere provocarono decine di morti. Questo si spiega con la debolezza del movimento fascista a livello locale, che non stupisce pensando allo scarso numero di italiani presenti a nord di Salorno dopo l'annessione. Se si confronta l'azione del primo fascismo in Alto Adige con quella nella Venezia Giulia, dove anche esisteva la questione dei cosiddetti «allogeni», emerge con chiarezza il diverso grado di radicamento e forza militare delle squadracce. In una realtà come quella triestina e giuliana, in cui le due componenti etniche si equivalevano e in cui il nazionalismo italiano si tingeva spesso di venature apertamente razziste nei confronti delle popolazioni slovene e croate, il livello della violenza fu enormemente maggiore. Da questo punto di vista non è un caso che fascisti triestini, forti della propria organizzazione militare, partecipassero numerosi alla cosiddetta «marcia su Bolzano» del 1º ottobre 1922.  Ricordare l'assassinio di Franz Innerhofer può rappresentare anche l'occasione per ricostruire le modalità d'azione e collaborazione tra i vari fascismi regionali e in particolare tra i diversi «fascismi di confine», che prima e dopo la presa del potere misero in campo politiche non del tutto coincidenti, pur avendo lo stesso obiettivo di italianizzazione dei confini.  

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