la storia

Langer, italiani e tedeschi assieme: «Progetto linguistico vincente»

La scuola di Firmian. Aperto nel 2014, il grande complesso oggi ospita le elementari di entrambi i gruppi linguistici 


Antonella Mattioli


BOLZANO. Nel grande atrio vetrato troneggia la foto di Alexander Langer, il leader del movimento verde che sognava una società plurilingue, libera dalle gabbie etniche. La scuola, aperta il primo settembre 2014 in piazza Montessori nel quartiere Firmian che ospita sotto lo stesso tetto la primaria (elementari) italiana e la primaria tedesca, è intitolata proprio al politico altoatesino noto a livello internazionale per le molte battaglie.

Il suo sogno non si è ancora realizzato. Tanto che a quasi 30 anni dalla sua scomparsa - è morto il 3 luglio del 1995 - proprio in questi giorni si è riacceso il periodico dibattito, innescato stavolta dall’assessora comunale della Svp Johanna Ramoser, sul delicatissimo tema dell’apprendimento della seconda lingua necessario per vivere in questa terra. L’ansia da prestazione porta genitori italiani e stranieri ad iscrivere, pare più che in passato, i figli nelle scuole dell’altro gruppo, ritenendo che solo così si possa imparare - meglio e più facilmente - la lingua di Goethe.

I risultati però non sempre sono all’altezza delle aspettative, perché la forte presenza di bambini italiani e stranieri fa sì che la lingua più utilizzata - a detta degli stessi insegnanti oltre che degli esponenti della Volkspartei - finisca per essere quella di Dante invece che quella di Goethe. E allora forse è meglio guardare all’offerta linguistica della scuola italiana che - a seconda degli istituti - propone una serie di progetti diversi, però con lo stesso obiettivo: il potenziamento linguistico con un’attenzione specifica al tedesco, ovviamente.

La scuola Langer, in più rispetto alle altre, è un laboratorio di convivenza, perché non solo nello stesso edificio ci sono 252 bambini iscritti alla primaria di lingua italiana e un altro centinaio a quella di lingua tedesca; ma dirigenti e insegnanti - oltre ad offrire il potenziamento linguistico - lavorano assieme, fanno progetti e iniziative che hanno come scopo quello di far incontrare i bambini dei due gruppi; farli socializzare, aprendo le classi e “mescolandoli” durante i laboratori. Soprattutto si fa quello che dovrebbe essere scontato - ma in Alto Adige dove le scuole sono divise per gruppi etnici non si fa -: i bambini si ritrovano assieme alla pausa di metà mattina, mangiano assieme alla mensa, in cortile giocano assieme. Fanno la festa di Natale e le gite scolastiche assieme. A credere in questo progetto sono innanzitutto i dirigenti Diego Paolizzi, oltre alle Langer, ha sotto di sé anche Don Bosco e Ada Negri; David Augscheller per la scuola tedesca; e poi Lorella Saccoman, coordinatrice del plesso scolastico italiano, e Karin Albertini, coordinatrice della scuola tedesca e insegnante di L2 italiano. Ma piace anche alle famiglie e soprattutto ai bambini.

Da noi - spiega Paolizzi - il programma prevede nove ore alla settimana di tedesco. Di queste tre sono con il metodo Clil che significa - ad esempio - che storia, geografia, scienze vengono insegnati in tedesco; il prossimo anno, saranno musica, arte e geografia; a queste si aggiungono due ore, che dall’autunno saranno tre, in inglese. Di ore se ne potrebbero anche programmare di più, però il valore aggiunto della nostra offerta didattica è rappresentato dalle attività organizzate assieme ai bambini della scuola tedesca, condividendo spazi e tempi».

Karin Albertini, mamma tedesca e papà italiano, non ha dubbi al riguardo: «Una lingua la impari, non solo se la studi a scuola, ma se la usi per giocare o per mangiare insieme in mensa. Altro elemento che favorisce l’apprendimento e l’inclusione: i bambini si devono sentire accolti. E la ricchezza è rappresentata anche dalla presenza di alunni che arrivano da altri mondi». L’insegnante parla per esperienza diretta: «I miei genitori hanno scelto di iscrivermi in una scuola italiana. Magari un modello come questo delle Langer, ci fosse stato allora. Qui l’insegnamento viene impartito nella propria madrelingua, però i bambini hanno anche una serie di occasioni per socializzare con i coetanei dell’altro gruppo ».

Anche Lorella Saccoman si appassiona quando racconta il progetto portato avanti nella scuola del quartiere Firmian: «Noi siamo convinti che questo modello basato sull’uso comunicativo della lingua sia vincente. Le famiglie apprezzano ed è importante anche se per noi il bambino viene prima di tutto; prima anche dell’ansia da prestazione dei genitori».













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