L'indagine

Lavoro, in Alto Adige donne pagate il 18% in meno degli uomini 

La UilTucs ha presentato i dati delle aziende e la media regionale del «gender gap».  Elisa Lascialfari: «Bisogna cambiare questo sistema patriarcale e aiutare le imprese»



BOLZANO. Alle donne vengono affidati raramente alti ruoli in un’azienda, con un gap retributivo rispetto agli uomini che tocca anche il 37%. È quanto emerge dai dati presentati dalla UilTucs nel rapporto periodico sulla situazione del personale.

A parità di contratto e di inquadramento, le differenze sono ancora troppe. Non sono sondaggi o previsioni a certificarlo, bensì la fotografia delle aziende: ogni due anni – sia quelle pubbliche che quelle private – sono tenute a condividere un bilancio sul quadro dei dipendenti. A balzare all’occhio sono due dati: la maggioranza della forza lavoro occupata nelle ditte o nelle imprese altoatesine prese in esame è di sesso femminile. Un dato che va in controtendenza con la limitata presenza delle donne ai vertici: a livelli più alti (fino al secondo livello) gli uomini sono rappresentati tra il 70 e l’80%.

Tra dirigenti e quadri - secondo i conti del sindacato che ha preso in considerazione le aziende con più di 50 dipendenti - si contano 10 donne ogni 100 uomini. Quando si prendono in considerazione gli ultimi livelli lavorativi, ogni 100 uomini si assestano 257 donne, dal quarto al settimo livello. Proprio nelle categorie più basse si trovano i contratti part time, che spesso oscillano dalle 16 alle 20 ore a settimana: «Parliamo di fasce flessibili», spiega Elisa Lascialfari, funzionaria della UilTucs, «con orari che cambiano ogni mese, a cui si aggiungono svariate richieste di straordinari. Così è impossibile programmare la vita familiare». E anche la possibilità di fare carriera è di conseguenza minima perché - sempre secondo i dati mostrati - l’80% dei contratti part time sono conclusi con lavoratrici di sesso femminile. I full time sono invece stipulati al 60% con gli uomini.

La differenza salariale

La situazione non migliora quando si parla del famoso gender gap. L’Alto Adige non differisce dal resto d’Italia e presenta una differenza media del 18,8%, tra il 9 e il 37%. «Come si spiega? In parte da una contrattazione individuale più forte degli uomini rispetto alle donne, ma è soprattutto un problema culturale. I dati sono preoccupanti ed è necessario iniziare a muoversi», conclude Lascialfari.

Le soluzioni

Parlarne aiuta secondo la Uil, ma ora si aspettano azioni concrete da una provincia di Bolzano che sta si sta già muovendo verso la direzione corretta, ad esempio con l’aiuto per il congedo parentale. «È necessario istituire una rappresentanza sindacale che si Occupi di disparità e violenza di genere», dichiara Stefano Picchetti, segretario organizzativo della uil regionale, «riteniamo doveroso l’intervento del legislatore provinciale che attraverso una normativa rafforzi la contrattazione di secondo livello con la concessione di aiuti e finanziamenti destinati solo ad aziende che garantiscano il superamento del gender gap. E ultimo, ma non meno importante, serve formare la società civile, affinché si cambi questa cultura patriarcale nel sistema produttivo». A.B.













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Valeria Frangipane

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