«Malato da giorni ho contagiato i figli Fate più tamponi» 

La testimonianza di Myftiu. «Febbre a 39, ma dall’Asl non si è mosso nessuno. Al centro profughi dove lavoro positivi e diversi in quarantena  Quando l’ho scoperto era troppo tardi. A rischio tutta la famiglia» 



Bolzano. «Se mi avessero fatto subito il tampone, forse avrei potuto evitare il contagio per mia moglie, mia figlia di 14 anni affetta da diabete di tipo 1 e per mio figlio, di soli 5 anni. Mi sento un untore, ma non è stata mica colpa mia».

A raccontarlo è Tritan Myftiu, ex presidente della Consulta immigrati del Comune, oggi impegnato politicamente con Alto Adige nel cuore.

«Questo modo di gestire i tamponi in Alto Adige», sostiene senza peli sulla lingua, «non ha assolutamente nessun senso. A mio avviso si tratta di soldi gettati al vento». Tritan racconta: «Mi sono sentito male il 24 sera. Niente di che, ho pensato; un po’ di febbriciattola: 37.6, 37.7, insomma, un’influenza delle solite. Quelle cose per cui ti prendi una pastiglia e vai a dormire sperando che la mattina dopo sia passato tutto». E invece no. Il giorno dopo febbre alta, fino a oltre 39. «Allora ho chiamato il mio medico. Gli ho spiegato: la situazione è questa. Ho telefonato soprattutto perché in famiglia mia figlia soffre di diabete. Ma non si trattava esclusivamente di una questione di famiglia. Io lavoro per un centro profughi a Laives. Non sapevo di cosa si trattasse esattamente, ma temevo di aver contagiato qualcuno di quelli con cui lavoro o che assistiamo». Insomma, a muoverlo la preoccupazione per la famiglia e il senso civico. «Ho chiesto se fosse il caso di farmi sottoporre al tampone per il Coronavirus, e il medico di famiglia allora mi ha fornito l’indirizzo email dell’Azienda sanitaria a cui rivolgermi per poter richiedere di essere sottoposto all’esame». Tritan Myftiu ha scritto il giorno 25. «Mi hanno risposto il 26», precisava ieri, raggiunto telefonicamente a casa nel primo giorno da sfebbrato. «Nel frattempo - racconta - era emersa in tutta evidenza la situazione al centro di Laives in cui lavoro. Partita la procedura: contagiati in isolamento, gli altri in quarantena». A quel punto, Myftiu è stato chiamato a casa, da qualcuno dell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige. «Mi hanno telefonato spiegandomi che al centro c’erano persone positive. E di stare in quarantena a casa». Prima o poi, così pare si sia conclusa la telefonata, «verremo a farti il tampone». Il 27 Tritan e famiglia, in palpabile stato di agitazione, attendono. «Aspettiamo, ma niente». Nei giorni successivi la moglie di Tritan e soprattutto la madre dei suoi figli, assai preoccupata, decide di chiamare lei il numero nazionale per l’emergenza Coronavirus. “Secondo noi”, rispondono da Roma, “dovreste essere urgentemente sottoposti al tampone”. Precisa Tritan: «Si sono scusati, supponendo che qui a Bolzano si fossero dimenticati di noi. Anzi, sembra lo dessero per scontato». Poi, infine, «probabilmente sollecitati dalla Capitale, il primo aprile sono venuti a casa per il tampone, al quale sono risultato positivo». Una settimana, anzi di più, in attesa di sapere. «Intanto, io ho contagiato mia moglie ed entrambi i figli. Soprattutto per la ragazza eravamo molto agitati. Alla fine, per fortuna, a soffrire di più sono stato io». Il resto della famiglia in pochi giorni ha visto svanire la febbre alta.

«Se il tampone fosse stato eseguito subito, ai primi sintomi, avrebbero potuto mandarmi a Colle Isarco, o comunque, anche fossi risultato dubbio, avrei potuto spedire i figli da qualche altra parte, dove nessuno li avrebbe potuti contagiare». Il responso, Tritan Myftiu, l’ha ricevuto il giorno 2 aprile. Ancora ieri, 4 aprile, non si conoscevano i risultati dei tamponi eseguiti al resto della famiglia. «Ciò non ha davvero nessun senso. In una settimana e passa li ho contagiati, e magari adesso verrà fuori che ora sono negativi».

Questi soldi per i tamponi eseguiti in questo modo, tuona Myftiu, «sono spesi per nulla. Meglio comprare scaldacollo, sono più efficienti. E lo dico senza ironia. Se devi gestire le cose così, non ha nessun senso». Intanto, al centro profughi di Laives dove lavora Tritan, «i casi positivi sono stati mandati a Colle Isarco, degli altri uno lavora a Bolzano e quindi è a posto, gli altri li hanno spediti in quarantena in un albergo di Merano, altri sono rimasti a Laives, ognuno isolato in una delle stanze a disposizione». Nel centro profughi ovviamente stranieri. «A riprova che l’emergenza riguarda tutti, ma proprio tutti. Autoctoni o meno».

Conclude così: «Non voglio fare quello che critica a tutti i costi; non sono l’assessore, però chi è stato messo lì dovrebbe gestire le cose meglio. Anche altri contagiati che ho sentito mi hanno fatto capire che in numerosi casi il sistema è andato in tilt». Tecnicamente Tritan non sa come si possa risolvere. «Ma se si facessero più tamponi si riuscirebbe a circoscrivere. A me non l’hanno fatto e sono diventato un untore. Da un caso singolo si è creato un focolaio». DA.PA













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