L'INTERVISTA guido rispoli LA SCOMPARSA DI BORRELLI 

«Mani Pulite, la battglia ancora non è vinta» 

Il ricordo di Guido Rispoli. «Lo conobbi a Milano, era uomo autorevole e di grande cultura» «Pensare di battere la corruzione solo con il codice penale è pura utopia». Manca senso civico 


Mario Bertoldi


BOLZANO. La scomparsa di Francesco Saverio Borrelli, magistrato simbolo della stagione di «Mani pulite» che decretò la fine della cosiddetta Prima Repubblica, ha scosso il mondo forense anche in Alto Adige. «Ho un ultimo ricordo di Borrelli abbastanza recente - racconta Guido Rispoli, oggi procuratore generale in Molise e all’epoca magistrato di punta a Bolzano - quattro o cinque anni fa lo incontrai a Milano alla presentazione di un libro del sindaco Caramaschi in un circolo culturale. Mi presentai dandogli del “lei” e lui mi corresse subito. Non era uno che se la “tirava”, era un uomo autorevole, di grande culturale, che trasmetteva prestigio»

Ci furono anche incroci di natura professionale ai tempi di Mani Pulite quando lei era magistrato a Bolzano?

Sì, è accaduto in occasione dell’indagine sull’appalto per la costruzione della superstrada Bolzano-Merano. Emerse un contesto importante di corruzione con un’esecuzione dei lavori difformi a quanto previsto dall’appalto. In alcune circostanze ci furono contatti con Milano perchè era coinvolta l’impresa Pizzarotti in relazione a pagamenti di mazzette all’Anas.

Della stagione Mani Pulite cosa è rimasto?

Fu una stagione molto controversa. Che in Italia all’epoca ci fosse un sistema di corruzione dilagante (anche a sostegno del finanziamento illecito ai partiti) è fuori discussione, così come è pacifico che i fatti reati contestati fossero reali. Poi ci fu una gestione giudiziaria rispettosa delle norme dell’epoca, così come comprovarono i pronunciamenti della Corte di Cassazione. Mani Pulite fu una pagina storica utile al Paese. I reati c’erano e furono perseguiti con gli strumenti dell’epoca.

Lei rifiuta l’ipotesi che ci possa essere stata, come anche oggi sostiene qualcuno, una regia politica dell’uso della giustizia?

Lo escludo in modo categorico e assoluto. Anche perchè i magistrati coinvolti all’epoca furono diversi. Il nucleo storico era costituito da Borrelli, Di Pietro, Davigo, Colombo, D’Ambrosio. Ognuno di loro aveva una visione politica profondamente diversa.

Oggi però si sostiene che all’epoca si fece un uso improprio della custodia cautelare in carcere utilizzata come forma di pressione per indurre gli indagati a confessare e a rivelare altre illegalità. 

La valutazione va riportata alle norme in vigore all’epoca e alla relativa giurisprudenza. Sono passati oltre 25 anni. Anche all’epoca per la custodia cautelare si lavorava sulla base del pericolo di reiterazione del reato e pericolo di inquinamento della prova. La giurisprudenza che si affermò in quegli anni prevedeva che l’indagato collaborando desse dimostrazione di volersi staccare dal sistema criminale in cui era inserito. Quindi rendere dichiarazioni anche di fatti che non erano ancora stati accertati veniva ritenuto un elemento decisivo. Oggi la gestione della custodia cautelare è molto più rigorosa e all’indagato si chiedono delucidazioni solo in marito ai fatti contestati.

La stagione di Mani Pulite portò alla morte della Prima Repubblica ma anche oggi si sostiene che la corruzione è rimasta.

La corruzione rimane un reato difficilissimo da accertare perchè chi paga e chi incassa hanno entrambi un interesse. Il corrotto prende i soldi ed il corruttore ottiene un beneficio da parte della pubblica amministrazione. Non credo che il problema della corruzione possa essere risolto per via giudiziaria e penale. Il grande problema del Paese è che c’è uno scarsissimo senso civico. Questo ad eccezione dell’Alto Adige che - sotto questo profilo - resta una vera isola felice. L’Italia è un Paese benestante come cittadini privati mentre lo Stato è indebitato sino al collo. Sperare che per via giudiziaria si risolva il problema della corruzione è pura utopia.

Un problema anche culturale...

La corruzione è storicamente meno diffusa nei Paesi nordici perchè quei Paesi hanno un altissimo senso civico. La cosa pubblica non viene considerata qualcosa di diverso e di estraneo rispetto all’interesse privato. Lo Stato non è avvertito come nemico.

Lei si identificò nello slogan-appello lanciato da Borrelli nel 2002 e cioè “resistere, resistere, resistere”?

Fu un intervento molto forte, non so quanto giustificato. Probabilmente Borrelli ed il Pool vivevano alcune novità normative che avanzavano come qualcosa che avrebbe intralciato il loro lavoro. Io non sono mai favorevole alle contrapposizioni violente tra le istituzioni dello Stato. Quando accade penso che sia un pericolo per la democrazia. Quel passaggio di Borrelli in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario fu per me molto doloroso.

 













Altre notizie

Attualità