Mattia Tagetto: «Con MasterChef ho capito che devo puntare in alto»
Il personaggio. Bolzanino doc, è arrivato al quarto posto nell’ultima edizione del programma. Adesso è rientrato nel suo locale in centro «Mi sto abituando alla popolarità: in giro mi fermano per fare le foto»
BOLZANO. È partito da via Kennedy, a Laives, il sogno di Mattia Tagetto. Aveva 20 anni, quando ha iniziato a gestire la «Locanda del Duca». Tante idee, ambizioni e progetti. Che l’hanno prima portato alla Thun - nel settore food and beverage - e poi al “Bacaro”. La locanda in via Argentieri in queste settimane è assediata: «Ieri è arrivata una bimba da Lana, con il suo papà. Apposta per me. Per chiedermi una foto». Merito di MasterChef: è arrivato quarto. Mai nessun bolzanino si era spinto così avanti nel programma di cucina (andato in onda ogni giovedì, su Sky, fino a inizio marzo) con i giudici stellati, Bruno Barbieri, Antonino Cannavacciuolo e Giorgio Locatelli.
Ripartiamo da quest’onda di popolarità.
È molto più intensa di quanto pensassi. Durante il programma sei lontano dal mondo dei riflettori, non avevo ragionato sul fatto di diventare un personaggio pubblico. E quindi c’è chi passa per fare quattro chiacchiere, chi mi riconosce per strada. Anche se non tutti si fermano, qui, in Alto Adige. Forse è una questione di carattere. Quando metto il naso fuori da Bolzano è diverso: siamo accerchiati, sempre. Ma per fortuna sono quasi sempre complimenti.
Con quali obiettivi si era iscritto a MasterChef?
È un po banale come risposta, ma sono veramente partito per gioco. Ho iniziato con i consueti provini, non ero cosi convinto di essere preso. Poi, con le prime selezioni inizi a crederci e a cambiare la prospettiva. Durante le fasi finali del programma ero agitato, ma ci ho creduto. Anche alla vittoria.
È giusto dire che si è sorpreso lei stesso delle sue capacità? I giudici hanno detto che alcuni dei suoi piatti erano da ristorante stellato.
Il format mi affascinava molto. Sapevo di avere delle capacità, l’ho sempre pensato. Ma prima di tutto cercavo di non fare brutta figura. Bisogna avere tanta testa per gestire la pressione. Cercare di rimanere saldi, perché è un percorso lungo e c’è il rischio di cadere a ogni piatto. L’eliminazione? Ecco, lì non ero concentrato.
Come persona, si vede cambiato?
Ho capito che devo buttare giù qualche mia barriera mentale. Ma sono così: non sto mai fermo, cambio stimoli, progetti. Mi sento migliorato sotto certi aspetti, ma chi mi conosce sa che non c’è stato un grosso cambiamento.
Anche nei momenti più delicati, lei ha cercato di portare e diffondere la cucina altoatesina.
Io credo che l’immagine del nostro cibo sia percepita esattamente com’è. I giudici la apprezzano molto. È una cultura culinaria di gusto. E la montagna è vista positivamente nel resto d’Italia. Purtroppo non c’è una via di mezzo: ci dividiamo tra gulash, canederli, stinco e l’alta cucina. Per questo ho intenzione di portare a tavola la nostra cucina contadina, elevandola a un livello superiore.
Come?
Sto cercando di coltivare il sogno di un ristorante stellato. Mi piacerebbe farne un lavoro. Anche se il centro di Bolzano è una piazza complicata per la ristorazione. Osare è rischioso. Per questo tengo in piedi l’idea di una ghost kitchen: qualcosa legato a pochi coperti, mirati. Ci sto lavorando, ma per ora mi concentro sull’enoteca e su un nuovo progetto
Di cosa si tratta?
Voglio girare l’Italia per intervistare gli chef. Il tutto documentato con dei video. Ora, grazie a MasterChef, la cucina è diventata qualcosa in più di una passione.
Ha vinto Edoardo. Giusto così?
Sono felice per lui, è un amico che stimo. È una persona di cuore, è rispettoso ed è un uomo da scoprire. Se parliamo di tecnica, potevano vincere anche Hue e Bubu. Ha vinto la follia e la stravaganza di Edo, piuttosto che la bravura degli altri due.
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