«Mi dichiaro italiano, voglio dare una scossa»
Nel 2001 l’imprenditore Alberto Berger si era dichiarato tedesco ma oggi cambia gruppo linguistico: «Una sola appartenenza è anacronistica»
BOLZANO. Cambiare gruppo linguistico a 69 anni. Non è una scelta dettata da esitazione o incertezza. Men che meno da dubbi tra italiano e tedesco, le due lingue madre sul territorio provinciale. Tutt'altro. Alberto Berger, imprenditore altoatesino, già impegnato in politica, ha le idee chiarissime. Il suo obiettivo è cambiare le carte in tavola di una situazione che lui stesso definisce «anacronistica».
A non convincerlo, da sempre, è il regolamento della dichiarazione di appartenenza, che in Tribunale ti obbliga a scegliere un gruppo linguistico: italiano, tedesco o ladino. «Mi definisco un plurietnico autoctono e mi costringono, anche per la legge elettorale, a dichiararmi, poiché l'appartenenza di eletti sposta la proporzionale e viene quindi usata ai fini di propaganda elettorale. In un mondo così vario dovrebbe esserci la possibilità di dichiararsi sia italiano che tedesco».
Signor Berger, procedendo con ordine, oggi a che gruppo linguistico appartiene?
Quello italiano, da ormai qualche giorno. Tuttavia, per i tempi tecnici, questa mia decisione sarà riconosciuta ufficialmente solamente tra due anni...nel 2025.
E prima?
Beh, dobbiamo tornare indietro nel tempo, quasi allo scorso secolo. Nel 2001, infatti, mi dichiarai tedesco.
Cosa è cambiato in 20 anni?
Nulla, la penso sempre allo stesso modo.
Ovvero?
Che è paradossale dover dichiarare una lingua piuttosto che un'altra per chi, come me, si sente sia italiano che tedesco.
E perché questa scelta?
Per dare un segnale. Per cambiare una modalità antica e non essere disposti per forza a mettere la crocetta simbolica. Gli autoctoni sono una caratteristica rara e unica del nostro territorio. Io dico sempre: «Siamo un'orchestra, ma dobbiamo dimostrare di esserlo». A dirla tutta, la dichiarazione linguistica viene manovrata anche per una questione d'interessi personali.
In che senso?
Chi arriva dall'estero, per esempio, magari tende a scegliere il tedesco, solamente perché c'è più possibilità lavorativa. Non certo perché si riconosce di più rispetto all'italiano.
Il suo essere plurietnico come nasce?
Sono figlio di padre tedesco, mentre mia madre è italiana, di Rovereto. L' infanzia l'ho passata tra i banchi delle scuole tedesche. Poi i miei genitori mi hanno spinto, per fortuna, a imparare entrambe le lingue. Ho vissuto un parallelismo che negli anni '60 era poco comune. Oggi è più naturale passare da una lingua all'altra senza che ti guardino male. Ho abituato presto anche i miei figli: sono tutti mistilingue. Arriviamo al 2001, anno in cui ha deciso di dichiararsi appartenete al gruppo linguistico tedesco. Già allora ero perfettamente bilingue. Ma l'utilizzo dell'italiano era prevalente e quindi non volevo rischiare di perdere questa mia parte d'identità. Così decisi di dichiararmi tedesco. Ma ripeto: doversi dichiarare in un momento storico in cui vivono così tante famiglie mescolate, che possiedono ormai i cromosomi di due gruppi linguistici, a me pare anacronistico.
La "divisione" tra italiani e tedeschi esiste ancora?
All'interno della cittadinanza la divisione non è così sentita. Soprattutto negli ultimi anni noto che i due gruppi linguistici convivono in amicizia e con un buono spirito di convivenza. Anche se i miei figli hanno sofferto questo essere bilingui al liceo. Per il fatto di non essere esclusivamente da una parte, piuttosto che da un'altra. Ma il vero problema, semmai, subentra nel mondo politico.
Ci faccia un esempio.
Se da tedesco mi candidassi per le elezioni comunali in un partito italiano, mi accuserebbero di spostare la proporzionale etnica e quindi di favorire i posti di lavoro verso la popolazione tedesca. Ma se vogliamo difendere le caratteristiche delle tradizioni, come vuole l'Svp, serve proteggere entrambi i gruppi linguistici.