la decisione

Morta per peritonite, casa di cura condannata a un risarcimento di un milione e 100mila euro

Sentenza della Corte d’Appello. Per il ctu andava fatto un esame obiettivo alla zona addominale



BOLZANO. Un esame obiettivo alla zona addominale. Sarebbe bastato questo per salvare la vita a M.C., un’80enne bolzanina sottoposta a un delicato intervento chirurgico all’ospedale di Bolzano e poi ospitata in una casa di cura cittadina. È quanto emerge dalla sentenza della Corte d’Appello di Trento (sezione distaccata di Bolzano) che ha ripreso la consulenza del ctu Dario Raniero, evidenziando le responsabilità dei medici e condannando la struttura a un risarcimento di un milione e 100mila euro nei confronti della famiglia assistita da Giesse Risarcimento Danni.

«È uno dei primi casi in cui vengono utilizzate le tabelle di Roma – spiega Maurizio Cibien, responsabile di Giesse Risarcimento Danni per le Province di Trento e di Bolzano – Una svolta che ha permesso di ricalcolare i danni patrimoniali e non patiti dalla famiglia dell’anziana e ottenere la congrua somma di 1milione e 100mila euro, nemmeno paragonabile all’irrisoria cifra (70mila euro) liquidata in primo grado. Il giudice ha accolto le nostre tesi portate in aula dall’avvocato Marco Impelluso».

M.C. viene ricoverata nel reparto di Neurochirurgia dell’ospedale di Bolzano il 15 luglio 2013, con la diagnosi di “stenosi lombare”. Una settimana dopo i medici la sottopongono all’intervento di “stabilizzazione ibrida” e il 2 agosto la dimettono. L’80enne di Bolzano viene quindi trasferita nella casa di cura per la prosecuzione delle cure e della terapia riabilitativa. Già nei primi giorni, tuttavia, comincia a lamentare dolori addominali e sempre maggior debolezza. «Non viene disposta alcuna valutazione medica o chirurgica – racconta Maurizio Cibien, di Giesse Risarcimento Danni – Almeno fino al mattino del 10 agosto 2013 quando, effettuata la visita, l’anziana viene inviata d’urgenza all’ospedale di Bolzano dove viene rilevata peritonite acuta diffusa con perforazione dell’intestino».

Dopo l’intervento di laparotomia, la paziente viene spostata in Rianimazione fino al 16 agosto e poi in Chirurgia Generale. La diagnosi è di “shock settico per perforazione intestinale, peritonite diffusa, diverticolite del colon”. Dopo due giorni, il 18 agosto 2013, muore.

Nella consulenza del dottor Raniero emerge che l’alterazione dei parametri vitali «unitamente al riferito dolore addominale, avrebbero dovuto mettere in allarme il personale medico di guardia e porre indicazione allo svolgimento di più approfondite indagini». Quali? Ad esempio «un semplice esame obiettivo addominale che - aggiunge il medico – avrebbe con tutta probabilità avuto un esito con alta probabilità salvifico. La palpazione avrebbe portato alla luce la “reazione infiammatoria peritoneale” e avrebbe consentito di intervenire tempestivamente, prima del verificarsi della “compromissione sistemica/shock settico”».

«Il punto fondamentale della sentenza della Corte d’Appello – chiarisce Cibien di Giesse Risarcimento Danni – è che se M.C. fosse stata visitata all’addome il 9 agosto, i medici si sarebbero accorti dell’infiammazione in corso e l’avrebbero con tutta probabilità salvata. La percentuale di mortalità (si legge nella sentenza) sarebbe infatti scesa dal 60-80% al 20-30%». Un altro punto affrontato dal giudice ha riguardato l’incompletezza della cartella clinica: «La condotta medica ritenuta necessaria dal ctu non è stata riportata nella cartella clinica, con la conseguenza che è impossibile ipotizzare che il corretto comportamento sanitario sia stato posto in essere». Inoltre: «La ricostruzione offerta dal ctu del nesso di causalità tra l’omessa visita con palpazione addominale e l’evento dannoso (vale a dire il raggiungimento di una condizione di shock settico al momento dell’intervento chirurgico) esce confermata proprio dall’assenza nella cartella clinica dell’indicazione degli esiti della palpazione addominale».













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Valeria Frangipane

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